Una proposta per il 60° Anniversario della Dichiarazione Universale
La legge naturale superata?
Ma se dà sostanza ai diritti umani
Nel corso di questo 2008 cade il 60° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Ben prima del 10 dicembre – giorno in cui venne siglata – questa ricorrenza susciterà dibattiti, convegni, libri e rievocazioni. E’ l’esistenza di simili diritti che può giustificare “eventi” – comunque grandi, a prescindere dai loro, talvolta discutibili, svolgimenti – come il processo di Norimberga.
Ma qual è il fondamento dei diritti umani? A quale titolo si può processare per crimini contro l’umanità chi (come fecero, per esempio, i nazisti) agisce secondo la legge del suo Paese? Chi stabilisce quali sono i crimini contro l’umanità? La maggioranza? No, perché la maggioranza può avere torto: non dimentichiamo che Hitler venne eletto democraticamente dai suoi connazionali, che conoscevano in gran parte le sue idee criminali. Benedetto XVI ha insistito molte volte su questo punto: il fondamento dei diritti umani risiede nella legge naturale, che è l’insieme di quei principi morali immutabili (non schiavizzare, non commettere atti pedofili, non assassinare…) che valgono per tutti gli uomini in tutti i tempi. L’uomo è in grado con la sua ragione di apprendere questi principi, come testimonia una certa convergenza tra questi principi e il Codice babilonese di Hammurabi, o la ricorrenza di molti principi morali in culture molto diverse (cinese, indiana, cristiana, greca, sassone, norvegese…) che, per esempio, C.S. Lewis ha documentato (ne L’abolizione dell’uomo).
Non sempre però l’uomo riesce ad apprenderli: ad esempio, il mondo antico praticava la schiavitù senza remore. Ma anche se la maggioranza o un’intera cultura ritiene giusto, per esempio, sterminare un popolo (quello armeno, quello ebraico…), questi atti restano malvagi sebbene possano essere addirittura ammessi dalle leggi di uno Stato. Come ha detto il Papa, «ogni ordinamento giuridico […] trae ultimamente la sua legittimità dal radicamento nella legge naturale, nel messaggio etico iscritto nello stesso essere umano» (13 febbraio 2007). Ora, la legge naturale non è un tema dei cristiani in quanto credenti, come talvolta si dice, tanto è vero che è stata trattata da autori non cristiani, come – per fare solo pochi esempi – Sofocle, Aristotele e Cicerone. La sua trattazione non è neanche solo classico-medievale, perché c’è una sua declinazione moderna, per esempio in Locke e (in un certo senso) in Kant.
Sappiamo bene che la teoria della legge naturale ha ricevuto molte critiche ed è poco condivisa. Di più, per Benedetto XVI, «spesso il dibattito internazionale […] pare ritenere, come unica garanzia di una convivenza pacifica tra i popoli, il negare cittadinanza alla verità sull’uomo e sulla sua dignità nonché alla possibilità di un agire etico fondato sul riconoscimento della legge morale naturale » (1dicembre 2007). Ma se una tale legge non esiste, come ha detto ancora il Papa,« la norma giuridica […] resta in balia di fragili e provvisori consensi» (messaggio per il 1 gennaio 2008).
Le formulazioni esistenti della legge naturale potranno forse non soddisfarci ed essere magari bisognose di chiarimenti (a partire dalla nozione di “natura umana”, spesso travisata dai critici), ripensamenti o rigorizzazioni. Se le cose stanno così, sia allora questo il tema dei dibattiti nel corso di questi mesi. L’importante è che si sia consapevoli della necessità di rilanciarla, perché essa – Benedetto XVI ce lo ha ricordato il 5 ottobre scorso – «è la vera garanzia offerta a ognuno per vivere libero e rispettato nella sua dignità, e difeso da ogni manipolazione ideologica e da ogni arbitrio e sopruso del più forte».
Rassegna Stampa
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