“Solo una legge può fermare la morte per sentenza”
Legiferare per una sola ragione: difendere la vita sino alla fine. Ne è convinta Elisabetta De Septis, avvocato e docente di Biodiritto presso il biennio specialistico in Bioetica del «Marcianum» di Venezia. Alla vigilia ormai dei due pronunciamenti attesi per mercoledì prossimo dalla Corte costituzionale e dalla Corte d’Appello di Milano è opportuno mettere a fuoco alcuni punti fermi.
Perché la sentenza della Corte d’Appello di Milano con cui si dà via libera alla sospensione di idratazione e alimentazione a Eluana Englaro è uno spartiacque nel dibattito etico e giuridico?
«Il decreto della Corte d’Appello del luglio scorso si ricollega, come noto, alla sentenza della Cassazione dell’ottobre 2007, che aveva posto le premesse giuridiche per autorizzare il distacco del sondino che alimenta e idrata Eluana, ponendo due condizioni: l’irreversibilità dello stato vegetativo della paziente e l’accertamento della sua presunta volontà riguardo all’interruzione del trattamento, per la cui constatazione demandava alla Corte d’Appello di Milano. Sono decisioni senza precedenti: in mancanza di dichiarazioni scritte di Eluana sono stati riconosciuti effetti giuridici alla sua volontà anticipata “ricostruita” attraverso elementi tratti dal suo “vissuto”, dalla sua personalità e dai convincimenti etici, religiosi, culturali e filosofici che ne orientavano i comportamenti e le decisioni. C’è stato un sostanziale riconoscimento giurisprudenziale di dichiarazioni anticipate non scritte, ancor più problematico perché offre minori garanzie e si presta a più ampi abusi rispetto a eventuali dichiarazioni disciplinate con una legge, che ancora non c’è».
Ora però alla Cassazione di un anno fa (prima sezione civile) si contrappone la Cassazione di pochi giorni addietro (terza sezione civile) sulla causa intentata per danni morali da un testimone di Geova trasfuso in situazione di emergenza contro la sua volontà, manifestata attraverso un talloncino con scritto “no sangue”. Quali le analogie e quali le differenze?
«Qui la Cassazione, non reputando sufficiente il talloncino, ha ritenuto necessario un documento scritto, che il paziente deve tenere con sé, con dichiarazioni anticipate articolate e puntuali. La sentenza emessa per il caso Englaro prescinde invece da un documento scritto. Sia dall’una che dall’altra pronuncia emerge comunque un importante segnale: la redazione in forma scritta di dichiarazioni anticipate di trattamento si rivela necessaria o quanto meno preferibile, al fine di evitare conseguenze peggiori».
Se si arrivasse all’irreparabile, ovvero al distacco del sondino di Eluana, altri pazienti in condizioni simili correrebbero il rischio di fare la stessa fine?
«Di per sé nel nostro ordinamento le sentenze producono effetti limitatamente al caso concreto e alle parti in causa e non costituiscono un precedente vincolante .Temo però che, di fatto, il caso di Eluana possa essere interpretato come tale da altri malati e soprattutto dalle loro famiglie, anche perché le decisioni della Cassazione hanno la funzione di favorire l’uniformità della giurisprudenza e vi è un continuo richiamo a esse da parte dei Tribunali».
E una legge sul fine vita potrebbe evitare questa deriva eutanasica, rafforzata ancora ieri da un nuovo pronunciamento della Cassazione (quarta sezione penale)?
«Le dichiarazioni anticipate, eventualmente disciplinate dalla legge, potrebbero contemplare una volontà tesa solo al rifiuto dell’accanimento terapeutico o di interventi di rianimazione. Non potrebbero in alcun modo invece avere per oggetto o comunque legittimare pretese eutanasiche o di abbandono terapeutico. E questo deve esser chiaro, anche nel testo della legge. La vita è inviolabile e indisponibile. Un’eventuale futura legge non potrebbe porsi in contrasto con questi princìpi, che sono fondamentali nel nostro ordinamento giuridico».
Quali contenuti dovrebbe avere una legge davvero dalla parte dei malati e delle loro famiglie?
«Non si tratta, evidentemente, di una legge qualsiasi, riguardando la vita. Ritengo perciò indispensabile una legge che preveda tutte le garanzie e le cautele possibili per impedire qualsiasi inaccettabile abuso. La legge dovrebbe evitare che le dichiarazioni anticipate siano fonte di ulteriore burocrazia che si frapponga tra il medico e il malato (che ha espresso la sua volontà anticipata) con i suoi familiari, a scapito dell’alleanza terapeutica. Le dichiarazioni anticipate dovrebbero essere la “fotografia” dell’autentica e circostanziata volontà del paziente, personalizzata il più possibile e periodicamente revisionata, correttamente formulata, anche in termini medici, senza dar adito a dubbi e a problemi di interpretazione».
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