Si vendono le fedi per sopravvivere e il parroco gliele ricompera
Si vendono le fedi nuziali per sopravvivere e il parroco lanciando su facebook un appello alla solidarietà, gliele ricompra. Tra le tante offerte, arrivano anche quelle dei terremotati abruzzesi. La notizia, apparsa sul Gazzettino di Venezia, è di quelle che ti ricordano quanto possa un piccolo gesto di generosità. Ma anche quanto la mancanza di lavoro sia devastante per la dignità umana.
Diego, che vive a Rovigo, è disoccupato da quattro anni. Sua moglie lavora saltuariamente come colf. Hanno due figli. La famiglia non riesce a sbarcare il lunario, nonostante l’aiuto discreto del Comune che contribuisce al pagamento delle bollette, e di Caritas e San Vincenzo che forniscono loro generi alimentari. Così i due coniugi decidono di sacrificare quello che di più “prezioso” hanno addosso: le loro fedi, il simbolo del loro amore, che si sono scambiati in chiesa il giorno del loro matrimonio.
Venuto a saperlo, il parroco della comunità rodigina di San Bortolo, don Gianni Vettorello, un sacerdote capace di dialogare in rete e sui social, chiede un aiuto per poter restituire gli anelli ai due sposi. La rete fa il resto: la mobilitazione è enorme. In breve si raccolgono i denari necessari per poter comperare gli anelli. Così, oggi, la coppia ha potuto reinfilarsi le fedi al dito. “In queste fedi è racchiusa le generosità di chi ha voluto donare oggetti in oro per realizzarle, chi ha voluto contribuire con la propria offerta, chi le ha realizzate e chi s’è impegnato per far pronte ad eventuali spese aggiuntive”, ha spiegato il sacerdote. Quindi il “grazie” di cuore per quanto fatto e la foto su fb degli anelli alle mani dei due coniugi.
Un bel gesto di vicinanza e solidarietà. Ma che società è quella che costringe una coppia di coniugi a privarsi di uno dei simboli più cari, più significativi per la loro storia familiare, per la loro stessa vita? La parola “fede“ deriva dal latino “fides” e ha la stessa radice della parola “fiducia”. Il gesto di vendere le fedi è insieme metafora di qualcosa di più serio della sola privazione di un oggetto caro che dovrebbe essere inalienabile: significa aver perso anche la fiducia nel mondo che ti circonda, nelle propri diritti e in un futuro migliore, per te e i tuoi figli. Non è il valore dell’oro di un paio d’anelli in discussione: grave è la necessità di spogliarsi un po’ di quello che si è, più che di quel (poco) che si ha.
Lo ha compreso perfettamente don Gianni che su fb ha postato le seguenti parole: “Ora sono perfettamente cosciente che sto chiedendo la cosa più difficile da realizzare. Le fedi sono tornate, i generi alimentari sono arrivati, le offerte in denaro sono state recapitate, mancherebbe solo la cosa più importante e decisiva per questa famiglia bisognosa: ” un lavoro”. Il lavoro è dignità, il lavoro è salute ed armonia, il lavoro è poter uscire al mattino a testa alta e poter ritornare alla sera, stanchi, ma orgogliosi per aver messo sul tavolo il pane, non frutto di elemosina, ma frutto del proprio lavoro. Anche i figli si accorgeranno che quel pane ha un profumo e un sapore diverso; il sapore della dignità riconquistata”.
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