Se la Cina arruola il Papa contro Spielberg
Tutto è cominciato pochi giorni fa quando Steven Spielberg ha annunciato la propria rinuncia a collaborare come consulente artistico per l’organizzazione dei Giochi olimpici 2008, accusando Pechino di non fare abbastanza per risolvere la crisi del Darfur: un genocidio con oltre 200 mila morti e 2,5 milioni di sfollati dal 2003 del quale la politica della Cina in Africa è ritenuta da più parti corresponsabile, per non dire complice.
Apriti cielo. L’uscita di Spielberg, come logico, non è stata gradita dall’establishment del partito comunista cinese che tanto si sta dando da fare – e i Giochi olimpici vanno anche in questa direzione – per accreditarsi di fronte all’Occidente come paese avanzato non soltanto dal punto di vista economico (la cosa è facilmente dimostrabile), ma pure quanto a standard di democrazia e di civiltà e, in particolare, in merito ai fondamentali diritti umani.
Pechino non ha aspettato a lungo per rispondere per le rime a Spielberg. Oltre a dargli dell’«ingenuo» e definirlo come una persona «priva di senso comune», ha pensato bene di dimostrare l’infondatezza delle accuse del regista statunitense – alle quali hanno fatto eco accuse analoghe snocciolate da Mia Farrow sul quotidiano britannico The Independent – tirando in ballo il Vaticano. Proprio così. Accusata di collaborare a uno tra i più terribili genocidi in corso negli ultimi anni, Pechino ha risposto che, se così fosse, non si spiega come sia possibile che proprio in questo momento i rapporti tra la Cina e una delle diplomazie maggiormente attente ai diritti umani, appunto il Vaticano, siano ottimi, talmente ottimi che presto Benedetto XVI in persona si recherà in visita a Pechino. Insomma, quello che Giovanni Paolo II non è riuscito a fare in ventisei anni e mezzo di pontificato, riuscirebbe d’incanto a Benedetto XVI.
Autori di queste singolari affermazioni sono il direttore dell’Amministrazione statale per gli affari religiosi, Ye Xiaowen, e il vicepresidente dell’Associazione patriottica dei cattolici, Antonio Liu Bainian. In particolare è stato Ye a ricordare in occasione di un suo recente viaggio a Washington, come «la distanza fra le due parti» stia diventando «sempre minore». Mentre Liu è stato citato dal governo cinese per aver detto spesso di sognare il Papa che celebra messa a Pechino. Le cose stanno davvero così? I rapporti della Santa Sede con Pechino sono davvero così buoni da poter ritenere che, a breve, Joseph Ratzinger volerà oltre la Grande Muraglia?
Dalla Santa Sede non sono stati rilasciati commenti ufficiali. Anche perché, a conti fatti, la situazione sembra essere quella di sempre: all’orizzonte non si vedono grandi segnali di miglioramento nei rapporti, soprattutto a motivo del fatto che il problema della libertà religiosa in Cina, libertà ad oggi di fatto ancora negata, resta più che mai aperto e attuale. Tra l’altro, come ricorda Asianews, almeno due vescovi della Chiesa non ufficiale (monsignor Giacomo Su Zhimin, di Baoding e monsignor Cosma Shi Enxiang di Yixian) e uno della Chiesa ufficiale (monsignor Martin Wu Qinjing, di Zhouzhi , Shaanxi) sono ostaggi della polizia del paese rispettivamente da undici anni, sei anni e un anno. Vi sono, ancora, vescovi sotterranei in isolamento forzato, vescovi ufficiali controllati, vescovi morti in prigionia, sacerdoti condannati al lager e chi più ne ha più ne metta.
Ma c’è ancora un aspetto che occorre rilevare. Ye e Liu Bainian, i due funzionari che hanno dichiarato l’imminente viaggio del Papa in Cina, oltre a controllare (e ostacolare) da anni i movimenti della Chiesa sotterranea del paese, si sono sempre prodigati (e la Santa Sede conosce bene la situazione) per acuire, piuttosto che per svelenire, le tensioni tra Cina e Santa Sede, tensioni, appunto, dovute alle sofferenze alle quali sono costretti i cattolici clandestini che non accettano la sottomissione alla Chiesa patriottica. Recentemente, inoltre, sono stati proprio Ye e Liu Bainian a criticare pesantemente – con tanto di campagna diffamatoria – la Lettera che Benedetto XVI ha scritto la scorsa estate ai cattolici cinesi.
Come Spielberg, Benedetto XVI è stato accusato di «ignoranza» e di voler far ritornare la Chiesa in Cina a una situazione di «colonialismo». Il tutto nel perpetuo tentativo (fino ad oggi riuscito) di difendere «l’indipendenza» della Chiesa cinese, contro «l’ingerenza» della Santa Sede nelle nomine dei vescovi.
Rassegna Stampa
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