Ru486, e l’aborto torna (legalmente) clandestino
Prima di introdurre la pillola in Italia sarebbe bene che qualcuno rispondesse a una serie di domande. Non siamo noi a sollevarle: escono dalla pratica clinica in Francia.
Tutti i protocolli e le sperimentazioni sulla pillola Ru486 dimostrano che si tratta di un
metodo più doloroso, più lungo, più complicato, più rischioso di quelli tradizionalmente utilizzati per interrompere la gravidanza. Eppure ancora oggi si tenta di spacciarlo come un metodo ‘facile’. Diciamolo ancora una volta: la pillola renderà le cose più facili solo ai medici che praticano gli aborti, non alle donne. Per loro, più solitudine, più dolore, più sensi di colpa, più incertezza, mentre, per almeno 15 giorni, sono costrette a controllare costantemente il flusso emorragico, chiudendosi in bagno e tentando di riconoscere l’embrione, per verificare se è stato espulso. Poi, come ha specificato senza troppi giri di parole la scrittrice India Knight sul Times, bisogna avere il coraggio di buttare tutto nel wc e tirare lo sciacquone… Nel frattempo si lavora, si portano i bambini a scuola, si va sull’autobus, si fa la spesa. Tutto questo è una brutalità eccessiva, secondo la Knight. Eppure l’idea che il metodo chimico sia meno traumatico per le donne continua tranquillamente a circolare. Anche i dati presentati giorni fa dalla Regione Emilia Romagna dimostrano, secondo alcuni, che la Ru486 è il metodo preferibile: infatti lo scelgono le donne ‘migliori’, cioè quelle più informate, italiane e con un buon livello culturale. Chi lo afferma però non sa che si tratta di requisiti essenziali per la scelta dell’aborto farmacologico.
In Francia le donne che chiedono la pillola Ru486 sono sottoposte a un colloquio per valutare quanto siano in grado di gestire da sole il procedimento abortivo. I criteri ambientali richiesti sono: la distanza del luogo di residenza da un pronto soccorso attrezzato (distanza che deve essere coperta al massimo in un’ora), la disponibilità di un telefono personale e un livello di igiene accettabile dell’abitazione. Si passa quindi ai criteri psico-comportamentali, dopo aver avvisato la paziente (sarebbe meglio dire la candidata!) che il metodo necessita «di una partecipazione attiva, la capacità di comprendere il metodo e seguire il protocollo», con l’impegno a effettuare le visite successive.
Nonostante tale impegno, ben il 20% delle donne che scelgono l’aborto a domicilio non si presenta all’appuntamento per il controllo conclusivo.
S i richiede quindi «l’accettazione delle difficoltà e dei rischi del metodo: dolore, sanguinamento prolungato, rischio di fallimento»e «un’attitudine a gestire situazioni fisicamente ed emozionalmente penose». È escluso, oltre a chi non possiede un buon livello di comprensione della lingua, anche chi è vulnerabile sul piano emozionale o non ha resistenza al dolore; chi ha avuto problemi psichici, o ha assunto psicofarmaci; chi manca di autodisciplina, pazienza e senso di responsabilità; chi ha problemi di disponibilità per motivi professionali, o per altri motivi. Ma non è finita: bisogna verificare anche i requisiti relazionali. Deve esserci qualcuno disposto ad assistere la paziente, aiutarla in casa permettendole di riposarsi, nonchè, eventualmente, ad accompagnarla in ospedale. Sono considerate candidate poco adatte le donne che vivono sole con figli piccoli, che sono isolate affettivamente o socialmente, o hanno gravi problemi coniugali. Quelle che superano questa specie di percorso a ostacoli riceveranno in premio le due pillolette miracolose, con cui potranno abortire a casa, arrangiandosi come possono tra i crampi e l’emorragia.
In tutti i Paesi dove il metodo chimico è stato adottato l’aborto perde sempre di più il contatto con l’ospedale e persino col medico, scivolando verso una sorta di clandestinità legale. In Francia, dove la legge è già stata cambiata in modo tale da consentire l’aborto fuori dagli ospedali, si va verso una seconda modifica, per arrivare a distribuire la pillola abortiva direttamente nei consultori. Anche in Inghilterra, dove pure la legge sull’interruzione di gravidanza è molto larga, si discute di una correzione per facilitare l’aborto a domicilio. Chi in Italia sostiene la Ru486 è perfettamente consapevole che la sua introduzione condurrebbe, prima o poi, a una modifica della legge 194: e a questo obiettivo politico subordina le tutele sanitarie. Sarebbe difficile, infatti, imporre da noi criteri di valutazione come quelli che abbiamo riportato sopra: i medici e i consultori, che già non applicano le norme sulla prevenzione degli aborti, riuscirebbero davvero a condurre un’indagine accurata sulla paziente? E come si potrebbe impedire alle straniere di ricorrere all’aborto chimico che per molte di loro, seguendo quei criteri, sarebbe estremamente rischioso? Come convincere le donne a seguire l’intera procedura, compresa la visita finale, in un Paese dove non si riesce ad avere dati su quasi la metà delle gravidanze da procreazione assistita? Prima di introdurre la Ru486 in Italia forse sarebbe bene che qualcuno rispondesse alle nostre domande.
Rassegna Stampa
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