Rende vivi i precetti che naturalmente pulsano in noi
Il forte richiamo del Papa alla dottrina della legge morale naturale, nel discorso che ha rivolto ieri ai membri della Commissione teologica internazionale, verrà con probabilità, ma a torto, giudicato ‘antiquato’ da qualche studioso di etica e di diritto. Se da una parte innegabile che da due secoli a questa parte viviamo (in Occidente!) in un contesto culturale dominato dal positivismo etico e giuridico, però altrettanto vero – ed è semplice onestà intellettuale riconoscerlo – che il predominio del positivismo non ha mai svuotato di senso le ragioni del giusnaturalismo, che ha continuato a essere difeso ad altissimo livello da pensatori di primissimo rango (basti pensare a Maritain e a Radbruch, o in Italia, a Rosmini e a Cotta). La questione posta da Benedetto XVI, per, non può essere ridotta nei termini di una tutto sommato sterile disputa sull’”attualità” della dottrina della legge naturale. Il Papa indica alcuni punti forti, che giustificano l’attenzione per questa dottrina. In primo luogo, egli spiega, non si tratta di una dottrina “confessionale”. La legge morale naturale viene indubbiamente illuminata dalla Rivelazione, ma, nei suoi principi, essa si rivolge a tutti gli uomini, perché il bene umano – che attraverso il rispetto della legge naturale siamo in grado di attingere – non è il bene dei soli credenti, ma di tutti gli uomini di “buona volontà”. È per questo, aggiunge il Papa, che il contenuto etico della fede cristiana (che coincide nell’essenziale con quello della legge naturale) non si sostanzia in norme imposte ai credenti, ma rende vivi quei precetti che “naturalmente” ognuno di noi percepisce attraverso la voce della coscienza e per ubbidire ai quali un orientamento di fede è sì preziosissimo ma non propriamente indispensabile: anche il non credente è in grado di accettare i dieci comandamenti come precetti giustificati dalla comune ragione umana. Al di là delle sottili (e legittime) tematizzazioni teoretiche dei moralisti e dei filosofi del diritto, Benedetto XVI pone in chiaro come la legge naturale sia l’unica condizione di possibilità per un dialogo onesto, pacificante e credibile tra tutti gli uomini. Il Papa sottopone queste considerazioni a una sorta di verifica “a contrario”. Se si abbandona il riferimento alla legge naturale, cosa può garantire la coesistenza secondo giustizia degli esseri umani? Perché i più forti dovrebbero rispettare i più deboli, se non esiste una legge, come quella naturale, che pone ogni uomo, senza distinzione, come titolare di diritti assoluti? Non è vero che tolleranza e rispetto possano essere garantiti solo dalla dottrina che pi di ogni altra nega l’esistenza di una legge naturale, e cioè il “relativismo etico”, oggi tanto di moda. Mancando di un riferimento al bene umano oggettivo, al relativismo non resta che avvalorare meccanismi democratici di formazione di consensi maggioritari. Naturalmente, delibere prese grazie al consenso di una maggioranza sono politicamente ben più tranquillizzanti di decisioni tiranniche e dispotiche. “Ma la storia – dice il Papa – dimostra con grande chiarezza che anche le maggioranze possono sbagliare”.
Questa non è una critica alla democrazia – come scioccamente qualcuno potrebbe pensare – ma l’espressione di una lucida esigenza: anche chi condivide fino in fondo le ragioni della democrazia deve pur elaborare un qualche criterio per condannare – quando questo sia il caso – le decisioni aberranti e disumane che possono essere assunte purtroppo anche attraverso impeccabili meccanismi democratici. Il riferimento alla legge naturale, e questo soltanto, ci fornisce simili criteri: ecco l’ammonimento del Papa. Coloro che non vogliano accettarlo lo recepiranno come una sfida: a costoro l’onere di confutare un insegnamento non solo fondato su una tradizione bimillenaria ma, cosa forse ancor più rilevante, sull’intelligenza del senso comune.
Rassegna Stampa
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