“Querida Amazonia”
ettore malnati*
TRIESTE. L’esortazione apostolica post-sinodale “Querida Amazonia”, sottoscritta da Papa Francesco, è uscita con la data del 2 febbraio 2020. Questo documento, frutto del sinodo “Amazzonia, nuovi cammini per la Chiesa”, tenutosi a Roma dal 6 al 27 ottobre 2019, è formato da una breve presentazione di Papa Francesco (nn. 1-7) e da quattro capitoli o «sogni» e da una conclusione. In tutto 111 paragrafi.
Nella presentazione il Papa annuncia i quattro grandi sogni che l’Amazzonia gli ispira (n.7) e che aprono a vari capitoli. Li presentiamo sinteticamente già affermando che il documento tanto paventato si palesa fedelmente cattolico e attento alle problematiche antropologiche e ambientali, nello stile di quella sapientia cordis propria dei Papa del Concilio Vaticano II e del post-Concilio.
Capitolo primo: un sogno sociale (nn. 8-27)
Qui Papa Francesco coglie il desiderio dei Padri Sinodali che auspicano per l’Amazzonia e i suoi abitanti un “buon vivere” (n.8). Ciò presuppone la stigmatizzazione degli «interi colonizzatori…che sono andati saccheggiando e assediando i popoli indigeni, rivieraschi e di origine africana» (n.9) «che hanno favorito i movimenti migratori più recenti degli indigeni verso le periferie della città» (n.10).
«Alle operazioni economiche nazionali ed internazionali che danneggiano l’Amazzonia e non rispettano il diritto dei popoli… Bisogna indignarsi come si indignava Mosè (cfr Es 11,8); come si indignava Gesù (cfr Mc 3,5)» (nn. 14-15). «Non è sano che ci abituiamo al male, non ci fa bene permettere che ci anestetizziamo la coscienza sociale» (n.15). A causa di questo sfruttamento umano molti indigeni si sono visti «obbligati a emigrare in città, cercando di sopravvivere…Come sanare – si chiede il documento – un danno così grande?» (n.21).
Di fronte a questo dramma, la Chiesa «è chiamata ad ascoltare le grida dei popoli amazzonici per poter esercitare in modo trasparente il suo ruolo profetico» (n.19). È doveroso stigmatizzare le Istituzioni degradate (nn. 23-25) ed avviare un dialogo sociale alla pari, partendo dagli ultimi (n.6) e facendo di essi dei protagonisti (n.27).
Capitolo secondo: un sogno culturale (nn. 28-40)
In Amazzonia vivono molti popoli e nazionalità. Vi sono 110 popoli indigenti in stato di isolamento volontario (cfr n.29). «Prima della colonizzazione, la popolazione si concentrava lungo le rive dei fiumi e dei laghi; l’avanzata colonizzatrice sospinse poi gli antichi abitanti verso l’interno della foresta» (n.30). «Ogni popolo che è riuscito a sopravvivere in Amazzonia possiede la propria identità culturale e una ricchezza unica all’interno di un universo multi-culturale, in forza della stretta relazione che gli abitanti stabiliscono con l’ambiente» (n.31).
È doveroso che questi popoli costudiscano le loro radici. «Per secoli i popoli amazzonici hanno trasmesso la loro saggezza culturale oralmente, attraverso miti, leggende, narrazioni» (n.34). Negli «ultimi anni alcuni popoli hanno iniziato a scrivere per raccontare la loro storia e descrivere il significato delle loro usanze» (n.35).
È importante che la cultura di questi popoli venga confrontata con altre culture. «L’identità e il dialogo non sono nemici…Una cultura può diventare sterile quando si chiude in se stessa…rifiutando ogni scambio e confronto intorno alla verità dell’uomo» (n.37). «L’economia globalizzata danneggia senza pudore la ricchezza umana, sociale e culturale. La disintegrazione delle famiglie, che si verifica a partire da migrazioni forzate, intacca la trasmissione dei valori» (n.39).
È importante quindi per un buon progetto dell’Amazzonia, assumere la prospettiva dei diritti dei popoli e delle culture e far sì che questo sviluppo venga realizzato da “attori” locali a partire dalla propria cultura e habitat. «Se le culture ancestrali si sono sviluppate in intimo contatto con l’ambiente naturale circostante, difficilmente potranno conservarsi indenni quando tale ambiente si deteriora» (n.40).
Capitolo terzo: un sogno ecologico (nn.41-60)
Nella realtà culturale come l’Amazzonia, l’esistenza culturale è sempre cosmica e ci porta a considerare che «liberare gli altri dalla loro schiavitù, implica certamente prendersi cura dell’ambiente e proteggerlo, ma ancor più aiutare il cuore dell’uomo ad aprirsi con fiducia a quel Dio che non solo ha creato tutto ciò che esiste, ma ci ha anche donato sé stesso in Gesù Cristo» (n.41).
L’ecologia della natura porta sia all’ecologia umana, come disse Benedetto XVI, sia all’ecologia sociale. «Se la cura delle persone e la cura degli ecosistemi sono inseparabili, ciò diventa particolarmente significativo lì dove la foresta non è una risorsa da sfruttare [bensì] è un essere, o vari esseri con i quali relazionarsi…Abusare della natura, per i popoli originari dell’Amazzonia, significa abusare degli antenati, dei fratelli e delle sorelle, della creazione e del Creatore, ipotecando il futuro. Gli indigeni quando rimangono nei loro territori sono quelli che meglio se ne prendono cura» (n.42).
I popoli amazzonici chiedono che cessino i maltrattamenti e lo sterminio della Madre-Terra che le multinazionali hanno inflitto e continuano ad infliggere alterando l’equilibrio del corso dei fiumi e dei ruscelli (nn. 43-44). L’equilibrio planetario dipende anche dalla salute dell’Amazzonia, grazie alle sue foreste «dalle quali dipendono anche i cicli delle piogge, l’equilibrio del clima e una grande varietà di esseri viventi… Quando si elimina la foresta, questa non viene più rimpiazzata perché rimane un terreno con poche sostanze nutritive che si trasforma in un’area desertica o povera di vegetazione. Questo è grave, perché nelle viscere della foresta amazzonica sussistono innumerevoli risorse che potrebbero essere indispensabili per la cura delle malattie» (n.48).
È doveroso che la Comunità internazionale concretamente tuteli il bene dell’Amazzonia, perché tutelando questo, tutela il bene dell’umanità e del pianeta Terra. Purtroppo «i più potenti non si accontentano mai dei profitti che ottengono, e le risorse del potere economico si accrescono di molto con lo sviluppo scientifico e tecnologico. Per questo dovremmo tutti insistere sull’urgenza di creare un sistema normativo che includa i limiti inviolabili e assicuri la protezione degli ecosistemi… Se la chiamata di Dio esige un ascolto attento del grido di poveri e nello stesso tempo della terra, per noi il grido che l’Amazzonia eleva al Creatore è simile al grido del Popolo di Dio in Egitto (cfr Es 3,7). È un grido da schiavitù e di abbandono che invoca la libertà» (n.52).
Non bisogna allora abbassare la guardia circa la tutela di questa ecologia integrale, accontentandoci di «accomodare questioni tecniche o di decisioni politiche, giuridiche e sociali. La grande ecologia comprende sempre un aspetto educativo che sollecita lo sviluppo di nuove abitudini nelle persone e nei gruppi umani» (n.58). Di fronte a questa emergenza ecologica la Chiesa Cattolica è disponibile e desidera offrire il proprio contributo alla cura e alla crescita dell’Amazzonia offrendo «la sua esperienza spirituale, la sua consapevolezza circa il valore del creato, la sua preoccupazione per la giustizia, la sua scelta per gli ultimi e la sua tradizione educativa» (n.60).
Capitolo quarto: sogno ecclesiale (nn. 61-110)
Dopo aver “dato voce” ai popoli dell’Amazzonia stigmatizzando i gravi problemi ecologici, culturali e sociali, Papa Francesco e i Padri Sinodali sentono il dovere di sottolineare che non rinunciano ad offrire la proposta di fede ricevuta dal Vangelo (cfr n.62). «Non possiamo accontentarci – scrivono – di un messaggio sociale. Se diamo la nostra vita per loro, per la giustizia e la dignità che meritano, non possiamo nascondere ad essi che lo facciamo perché riconosciamo Cristo in loro e perché scopriamo l’immensa dignità concessa loro da Dio Padre che li ama infinitamente» (n.63).
Anche i popoli dell’Amazzonia «hanno diritto all’annuncio del Vangelo, soprattutto a quel primo annuncio che si chiama kerygma… che è l’annuncio di un Dio che ama infinitamente ogni essere umano che ha manifestato pienamente questo amore in Cristo crocifisso per noi e risorto nella nostra vita» (n.64). Nell’offrire la sua proposta evangelica «la Chiesa non pretende di negare l’autonomia della cultura. Anzi al contrario, nutre per essa il maggior rispetto e [sottolinea che] una fede che non diviene cultura è una fede non pienamente accolta, né totalmente pensata, né felicemente vissuta» (n.67). A queste affermazioni di Giovanni Paolo II, Papa Francesco aggiunge nella Evangelii gaudium che «la grazia suppone la cultura e il dono di Dio si incarna nella cultura di chi lo riceve» (EG n.115).
«Per ottenere una rinnovata inculturazione del Vangelo in Amazzonia la Chiesa ha bisogno di ascoltare la sua saggezza ancestrale, tornare a dare voce agli anziani, riconoscere i valori presenti nello stile di vita delle comunità originarie, recuperare in tempo le preziose narrazioni dei popoli… Come l’apertura all’azione di Dio, il senso di gratitudine per i frutti della terra, il carattere sacro della vita umana e la stima per la famiglia, il senso di solidarietà, la corresponsabilità nel lavoro comune, l’importanza della dimensione cultuale, la fede in una vita al di là di quella terrena ecc» (n.70).
«Il rapporto con Cristo, vero Dio e vero uomo, liberatore e redentore, non è nemico di questa visione del mondo marcatamente cosmica che caratterizza questi popoli, perché Egli è anche il Risorto che penetra tutte le cose. Per l’esperienza cristiana, tutte le creature dell’universo materiale trovano il loro vero senso nel Verbo incarnato, perché il Figlio di Dio ha incorporato nella sua persona parte dell’universo materiale, dove ha introdotto un germe di trasformazione definitiva» (n.74).
L’inculturazione del Vangelo in Amazzonia, considerata la situazione di povertà, deve essere caratterizzata sia da un timbro fortemente sociale, in quanto nel cuore del Vangelo riconosciamo l’intima connessione tra evangelizzazione e promozione umana (cfr n.75), che dà una spiritualità che risponda ad un desiderio di trascendenza (cfr n.76). Saper coniugare ciò significa far «nascere testimonianze di santità con il volto amazzonico… santità fatta di incontro e dedizione, contemplazione e servizio, di solitudine accogliente e di vita comune, di gioiosa sobrietà e di lotta per la giustizia» (n.77).
Soggiunge l’esortazione post-sinodale che sarà senza dubbio, pur recependo in qualche modo «un simbolo indigeno senza necessariamente qualificarlo come idolatrico» (n.79) una «spiritualità centrata sull’unico Dio e Signore, ma al tempo stesso capace di entrare in contatto con i bisogni quotidiani delle persone che cercano una vita dignitosa… Il peggior pericolo sarebbe allontanarli dall’incontro con Cristo, presentandolo come un nemico della gioia e come uno che è indifferente alle angosce umane. Oggi è indispensabile mostrare che la santità non priva le persone di forze, di vita e gioia» (n.80).
Ciò che la Chiesa dovrà cercare di fare quale impegno di inculturazione della sua spiritualità cristiana nelle culture dei popoli dell’Amazzonia, sarà quello di far incontrare, nella celebrazione dei sacramenti, senza alterare nulla di ciò che è essenziale dell’istituzione cristica «il divino e il cosmico, la grazia e il creato» (n.81). Ciò soprattutto nei sacramenti dell’Eucarestia, della Riconciliazione e nel vivere il giorno della domenica con il valore del riposo e della festa (cfr n.83).
«I sacramenti mostrano e comunicano il Dio vicino che viene con misericordia a guarire e fortificare i suoi figli. Pertanto debbono essere accessibili, soprattutto ai poveri e non devono essere mai negati per motivi di denaro. Neppure è ammissibile… una disciplina che escluda ed allontani, perché in questo modo i poveri e i dimenticati dell’Amazzonia alla fine vengono scartati da una Chiesa trasformata in dogma. Piuttosto nelle difficili situazioni che vivono le persone più bisognose, la Chiesa deve avere una cura speciale per comprendere, consolare e integrare, evitando di imporre loro una serie di norme come se fossero delle pietre (n.84).
Per far sì che la Chiesa espleti la sua maternità, l’esortazione post-sinodale chiede che la Chiesa che è in Amazzonia sappia «pensare ad una inculturazione del mondo in cui si strutturano e vivono i ministeri ecclesiali» (n.85). «Occorre che la ministerialità si configuri in modo tale da essere al servizio di una maggiore frequenza della celebrazione eucaristica anche nelle Comunità più remote e nascoste… [soprattutto per quelle] private dell’Eucarestia domenicale per lunghi periodi di tempo» (n.86). Si tratta allora di sottolineare ciò che è ad essentiam dell’identità e del ministero del presbitero, che a lui deriva dal sacramento dell’ordine, che lo configura a Cristo, sacerdote (cfr. n.87). E che non può essere mai, per nessun motivo, delegata.
«La prima conclusione è che tale carattere esclusivo ricevuto nell’ordine abilita lui solo [il presbitero] a presiedere l’Eucarestia. Questa è la sua funzione specifica, principale e non delegabile» (n.87). Continua il Documento: «Nelle circostanze specifiche dell’Amazzonia… Occorre trovare un modo di assicurare il ministero sacerdotale. I laici potranno annunciare la Parola, insegnare, organizzare le loro Comunità, celebrare alcuni sacramenti, cercare varie espressioni per la pietà popolare e sviluppare i molteplici doni che lo Spirito riserva loro. Ma hanno bisogno dell’Eucarestia, perché Essa fa la chiesa e arriviamo a dire che non è possibile che si formi una Comunità cristiana se non assumendo come radice e come cardine la celebrazione della sacra Eucarestia» (n.89). Qui il Papa chiede ai Vescovi son solo di pregare per le vocazioni, ma anche «di essere più generosi, orientando coloro che mostrano una vocazione missionaria affinché scelgano l’Amazzonia» (n.90).
Ricorda Papa Francesco che «non sempre possiamo pensare a progetti per Comunità stabili, perché in Amazzonia c’è una grande mobilità interna… perciò occorre pensare a gruppi missionari itineranti e sostenere l’inserimento e l’itineranza delle persone consacrate vicino ai più poveri ed esclusi» (n.98).
Bisogna riconoscere che in Amazzonia vi sono «Comunità cristiane che si sono sostenute e hanno trasmesso la fede per lungo tempo senza sacerdote, grazie alla presenza di donne forti e generose che hanno battezzato, catechizzato, insegnato a pregare, sono state missionarie, certamente chiamate e spinte dallo Spirito. Per secoli le donne hanno tenuto in piedi la Chiesa in quei luoghi con ammirevole dedizione e fede ardente» (n.99).
Non si tratta di «accordare alle donne uno status – dice il Documento – dando ad esse l’accesso all’ordine sacro, che orienterebbe a clericalizzare le donne diminuendo il grande valore di quanto esse hanno già dato e provocherebbe un impoverimento del loro indispensabile contributo» (100). «In una Chiesa sinodale le donne… dovrebbero poter accedere a funzioni e anche a servizi ecclesiali che non richiedono l’ordine sacro e permettano di esprimere meglio il posto loro proprio» (n.103).
Questo delicato capitolo si chiude con un’esortazione a trovare anche in Amazzonia spazi per dialogare e costruire una convivenza ecumenica e interreligiosa (cfr nn.106-108). «Come cristiani ci unisce tutta la fede in Dio, il Padre che ci dà la vita e ci ama tanto. Ci unisce la fede in Cristo Gesù, l’unico Redentore, che ci ha liberato con il suo sangue benedetto e la sua resurrezione gloriosa. Ci unisce il desiderio della sua Parola, che guida i nostri passi. Ci unisce il fuoco dello Spirito che ci spinge alla missione. Ci unisce il comandamento nuovo che Gesù ci ha lasciato, la ricerca di una civiltà dell’amore, la passione per il Regno che il Signore ci chiama a costruire con Lui. Ci unisce la lotta per la pace e la giustizia. Ci unisce la convinzione che non si esaurisce tutto in questa vita, ma che siamo chiamati alla festa celeste, dove Dio asciugherà ogni lacrima e raccoglierà quanto abbiamo fatto per coloro che soffrono» (n.109).
Conclusione (n.111)
Papa Francesco conclude l’esortazione post-sinodale per l’Amazzonia con una significativa preghiera a Maria affinché chieda a Gesù che «effonda tutto il suo amore sugli uomini e sulle donne che abitano l’Amazzonia, perché sappiano ammirarla e custodirla» (n.111).
* Vicario episcopale per il laicato e la cultura della Diocesi di Trieste
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