Quel «no» all’alcol notturno ha sconfitto i numeri di morte
Ci sono 215 italiani che sono tornati a casa: vivi, mentre, stando alle statistiche, potevano essere morti. Di questi 215, 128 hanno meno di trent’anni. Da quando è entrata in vigore, a ottobre, la legge che vieta la vendita d’alcol nei locali dopo le due di notte, i morti sulle strade sono diminuiti del 22 per cento. Ma ancora di più sono diminuite le vittime giovani, e quelle degli incidenti notturni: 106 morti in meno, il sabato sera. Con il moltiplicarsi dei controlli della polizia stradale ( in 4 mesi, il doppio che nel 2006) e poi ora con la obbligatorietà del test dell’etilometro, le vittime sulle strade nei primi weekend di giugno sono state il 25% in meno. Altri venti italiani che sono tornati a casa; ignari di essere sfuggiti al cieco calcolo di probabilità che chiede, ogni anno, un almeno uguale numero di morti sull’asfalto.
Siamo abituati, nei giornali radio della domenica mattina, a frettolosi necrologi: tre di vent’anni giù da un viadotto, tornavano da una festa, uccisi sul colpo. Spesso non ne vengono detti neanche i nomi, come un tempo nei bollettini di guerra, quando nella consuetudine della morte non ci si soffermava su chi erano i caduti. Nessun Gr ci dirà invece: “non” sono morti, quei quattro su una curva di una Statale; sono tornati, sani e salvi, e le madri che aspettavano, come sgravate da un gran peso, finalmente si sono addormentate.
128 ragazzi che felicemente rincasano possono sembrare giornalisticamente una non- notizia, nel cliché secondo cui notizia è solo la effrazione violenta o luttuosa della normalità. Invece, di questi italiani tornati vale la pena di parlare. Perché potrebbe essere un segno di una inversione di tendenza sulla sciatteria, il disinteresse, l’abbandono che da anni provoca stragi sulle nostre strade. Si può morire sulla strada per un fatale errore, per uno stop non visto; ma lasciare andare al suo destino, ogni sabato notte, una generazione, è un disinteresse cinico che un Paese non può tollerare. Nel nome della “libertà” della impotenza, o anche degli interessi dei gestori – che per quella norma fecero fuoco e fiamme, finché più volte quel divieto singolarmente sparì dai testi all’esame del Parlamento – per anni quei morti sono stati guardati come una fatalità, come figli di nessuno, di cui la politica e la legge non potevano farsi carico.
Certo, meglio sarebbe insegnare ai ragazzi a non strafarsi, e cercare di capire che cosa muove una così collettiva ansia di fuga, a vent’anni.
Tuttavia, siccome comunque per imparare bisogna essere vivi, almeno quelle saracinesche calate alle due, e i controlli moltiplicati dalla polizia stradale, sono una rete: un’estrema barriera contro la sbando in cui molti sono stati lasciati.
E in questo senso un segno, un sussulto di coscienza della politica e degli adulti: di questi ragazzi, della loro vita, ci importa. Oltre il liberismo idiota del “vietato vietare”, oltre gli interessi di avide lobby, un barlume di collettiva paternità in quel: ragazzi, alle due basta. E alle pattuglie di poliziotti, pure ventenni, in giro il sabato notte non a divertirsi, ma con l’etilometro, bisognerà dire di quei coetanei salvati. Che stamattina sono andati all’università, e in fabbrica.
Ignari di una statistica che “aspettava” 490 morti sotto i trent’anni. E invece, in 128 sono tornati.
Rassegna Stampa
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