Quei pellegrini senza bisaccia e senza denaro
Viaggiare con la Provvidenza vere vacanze controcorrente
Partire, senza portarsi nulla. Senza prenotazioni, assegni, carte di credito. Senza un soldo in tasca. Assurdo, diremmo noi, viaggiatori ipergarantiti, prudentemente muniti di assicurazioni contro ogni evenienza e di navigatori satellitari che ci dettano con voce metallica la strada. Pazzesco, direbbero quelli che acquistano in blocco villaggio, cucina rigorosamente italiana, bevande e animatori. E anche i cercatori di esperienze forti, di trekking in regioni percorse da guerriglieri o predoni, rifiuterebbero di partire senza denaro: amanti del rischio sì, ma non di quello, intollerabile, di dover domandare un pezzo di pane. Da Corpolò, frazione di Rimini, sono partiti in venti, invece, senza niente, nemmeno i soldi per mangiare e dormire (ne riferiamo nelle pagine di Catholica). Senza uno straccio di prenotazione on-line, e, addirittura, senz’auto: a piedi, percorrendo la valle del Marecchia che dalla Romagna sale verso l’Appennino, sono andati al santuario della Verna, in Toscana. 150 chilometri con uno zaino in spalla, dietro a una croce di legno. Mangiare come, dormire dove, pagare con cosa? I venti di Corpolò – eredi di padri e amici che anni fa hanno iniziato questa tradizione – non sono andati alla ventura, o allo sbaraglio. Semplicemente volevano, dicono, «aiutare gli uomini di oggi a vedere Dio all’opera». All’opera nel modo più concreto, nella forma di quella che un’altra generazione di cristiani chiamava Provvidenza. Dunque arrivare in venti, stanchi dopo una giornata di cammino, in un piccolo paese di montagna, e chiedere a degli sconosciuti: siamo pellegrini, andiamo alla Verna, ci date qualcosa da mangiare, c’è un posto in cui possiamo dormire? E in una valle appenninica poco avvezza a vedere facce nuove, tendenzialmente diffidente a fare entrare in casa degli sconosciuti, pure le porte si aprono, e di cibo ce n’è per tutti, e in abbondanza. Quello strano manipolo di giovani in marcia verso un eremo francescano senza la cosa che giudichiamo essenziale – i soldi – stupisce i paesi attraversati, destando attorno a sé una meravigliata simpatia. Quanto ai venti in cammino senza la certezza di mangiare, di un tetto per la notte, hanno detto, al ritorno, che quel non avere nulla di proprio su cui contare non procurava angoscia, ma una strana serenità. Matti, verrebbe da dire a noi garantiti da Amerircan Express e ferree prenotazioni, a noi delle guide Michelin e delle valigie gonfie del necessario e del superfluo. Matti, sia pure simpatici, in quella infantile fiducia in un Dio tanto vicino da occuparsi anche di un piatto caldo per dei pellegrini; e tanto concreto, che si possa addirittura chiedergli un letto per una notte sull’Appennino. Un Dio degli umili, non quello alto e astratto nei massimi sistemi, un Dio che c’entra con la vita quotidiana viene chiamato a testimone da venti ragazzi partiti da Rimini – mecca delle vacanze tranquille, del benessere cui ha diritto chi paga. Segno quasi invisibile – nelle code infinite delle nostre autostrade verso sicure mete – di una voglia di affidarsi ad un’altra certezza. In Prima del viaggio, Eugenio Montale guardava già con noia a un viaggio troppo accuratamente studiato, e scriveva disarmato: «Un imprevisto è la sola speranza». Quasi domandando che progetti e certezze venissero scalzati e travolti. Come l’imprevisto dono di sconosciuti che ti danno da bere e da mangiare, commossi da quel tuo essere partito senza niente – confidando in un Dio che c’è, e, con gli uomini, c’entra.
Rassegna Stampa
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