Prematuri e pregiudizi
Siamo di nuovo alle prese con i dibattiti sulle cure dei piccoli prematuri, sia per via del documento della Federazione dei Medici Italiani sulle cure di inizio vita, che per l’odierno congresso di Firenze. Ci domandiamo il perché di tanta attenzione concentrata solo sulle cure ai piccolissimi, come se per loro valesse uno “statuto” speciale diverso dalle altre persone. Già: perché solo per i neonati si pensa possibile sospendere le cure considerando anche il peso che la sopravvivenza porterà alla famiglia (M. Gross, 2002). Perché solo per i neonati si pensa che intervenire e curare possa essere accanimento terapeutico, se hanno le stesse chances di un adulto colpito da ictus (che nessuno si sognerebbe di non curare). Molti studiosi ormai hanno iniziato a lamentarsi proprio di questo: che ai neonati viene attribuito uno “statuto morale” diverso dalle altre persone, mentre le loro condizioni grazie al progresso medico continuano a migliorare. Basti per tutti riportare un recente studio tedesco (Steinmacher, 2008) che valuta la salute di prematuri nati a di 23-25 settimane dal concepimento (quelli in cui per alcuni si farebbe accanimento terapeutico) dopo 5 anni dalla nascita. Ne sono sopravvissuti 70 su 91 e il 57% poteva andare a scuola regolarmente. Vi sembra accanimento terapeutico curare con queste prospettive?
Insomma stiamo attenti a non risentire del falso assioma per cui un feto umano vale meno di un umano già nato, per non cadere in uno altrettanto falso: che la suddetta “svalutazione” può proseguire anche dopo la nascita, per un certo “periodo di prova”, come propongono dei filosofi molto citati e molto di moda. Ma il rischio c’è: la letteratura scientifica ci mostra come al solo sentir parlare di “nato a 24 settimane” i medici si comportano diversamente rispetto a quando si parla di un bambino più grande, ma con le stesse possibilità di sopravvivere; e ci mostra anche che la propensione a sospendere le cure ha spesso poco di oggettivo, ma viene influenzata da personali considerazioni religiose, dall’età del medico, dal suo essere uomo o donna, dalla sua esperienza; addirittura dalla sua paura di ammalarsi (Barr, 2007).
Il Comitato Nazionale di Bioetica e il Consiglio Superiore di Sanità si sono correttamente espressi su questo tema e hanno spiegato che chiunque in Italia ha il diritto alle cure: prematuro o anziano; se poi le cure saranno inefficaci, sarà corretto non intestardirsi. Sarebbe bene tener presenti questi pareri per ripartire da qui, come è accaduto il 24 ottobre a Catania durante il congresso delle associazioni dei genitori dei bambini ex-prematuri, significativamente intitolato “Prendetevi cura di noi”. Abbiamo sentito delle testimonianze commoventi e voci che incoraggiavano alla ricerca di cure, alla lotta al dolore dei piccolissimi. Abbiamo richiesto che i genitori di questi bambini possano godere di diritti al congedo speciale dal lavoro ed è stata presentata un’energica carta dei diritti del prematuro scritta da medici e dalle coraggiose madri dei piccolissimi. La società che apre i cancelli alla sospensione delle cure spesso lo fa perché non sa aprire le porte agli aiuti economici, culturali, sociali ai genitori dei bambini malati. Ripartiamo da qui: dalle necessità dei piccoli e delle loro mamme che rischiano di essere dimenticati in nome di una marea di parole sulla selezione di chi curare e chi no, che a loro di certo non serve.
Rassegna Stampa
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