Pillola del giorno dopo. I medici: «C’è il diritto di non prescriverla»
« Né il ministro Livia Turco, né l’assessore regionale Enrico Rossi e nemmeno il presidente dell’Ordine dei medici di Pisa Giuseppe Figlini potranno mai imporre a un medico di assecondare la volontà della paziente, dando a lei la responsabilità di una scelta che quello stesso medico non ha compiuto in autonomia, e quindi in scienza e coscienza»: il dottor Giovanni Belcari, medico chirurgo pontederese, torna sulla vicenda delle due giovani pisane che avrebbero faticato per trovare un camice bianco disponibile a prescrivere – o a somministrare loro – la pillola del giorno dopo, in seguito a un rapporto a rischio. E chiede un confronto pubblico col presidente dell’Ordine dei medici Figlini al quale «contesto l’inadempienza nei confronti del Codice deontologico e in particolare degli articoli 3, 4, 13, 22e 58 di cui egli stesso è garante.
E una delibera chiara, univoca, definitiva, del Consiglio regionale che sia espressione reale di tutte le parti in causa». La lettera aperta del giovane medico pontederese – indirizzata al direttore sanitario della Usl 5 di Pisa Rocco Damone e al presidente dell’Ordine dei medici Figlini – trova sponda tra decine di colleghi amareggiati e «sotto pressione»: ginecologi, neonatologi, psichiatri, anestesisti, medici di guardia, medici del 118. Tra i numerosi firmatari anche alcuni nomi di spicco, il professor Virgilio Facchini, ex primario di ginecologia e il professor Pietro Iacconi, in servizio al Dipartimento di chirurgia generale al Santa Chiara di Pisa e il professor Massimo Ermini della facoltà di Medicina e chirurgia. I politici sappiano «che una deontologia che si rispetti – si legge nel documento – mai può obbligare un medico alla prescrizione di un farmaco non salvavita. O forse l’assessore regionale, o il presidente dell’Ordine, ignorano che il Comitato nazionale per la Bioetica ha riconosciuto all’unanimità al medico la possibilità di rifiutare la prescrizione della pillola appellandosi alla clausola di coscienza?». Ai firmatari non sono piaciute le dichiarazioni del presidente dell’Ordine dei medici pisano e del direttore sanitario Damone sul carattere «d’esclusiva connotazione contraccettiva del Norlevo». «Il dottor Damone – asserisce Belcari – continua a citare il Codice deontologico. Ha dimenticato che lo stesso Codice prevede che “la prescrizione di un accertamento diagnostico e/o di una terapia impegna la responsabilità professionale ed etica del medico” e ancora che “su tale presupposto al medico è riconosciuta autonomia nella programmazione, nella scelta e nella applicazione di ogni presidio diagnostico e terapeutico?” (art. 13). Ha dimenticato che per lo stesso Codice, il medico deve “ispirarsi ai valori etici fondamentali, assumendo come principio il rispetto della vita?” (art. 4)? Non ricorda che “dovere del medico è la tutela della vita (art. 3)”? Non ricorda che per questo siamo fatti dottori in medicina e chirurgia, per questo noi tutti giuriamo alla laurea? Rilegga, e legga con attenzione il dottor Damone, l’articolo 22 del Codice di deontologia medica per cui “il medico al quale vengano richieste prestazioni che contrastino con la sua coscienza o con il suo convincimento clinico, può rifiutare la propria opera, a meno che questo comportamento non sia di grave e immediato nocumento per la salute della persona assistita”, nonché l’art. 69, che direttamente lo riguarda, per il quale “il medico che svolge funzioni di direzione o di dirigenza sanitaria, deve garantire il rispetto delle norme del Codice di deontologia medica e la difesa dell’autonomia e della dignità professionale”. “Quale interruzione di pubblico servizio si configura dunque? – si sfoga il dottor Belcari –. Il medico deve dunque assurgere al ruolo esclusivo di burocrate? Dov’è il rischio di vita della paziente?
Dove la patologia? Dov’è la tutela dei propri iscritti da parte del presidente di un Ordine che non si preoccupa minimamente di fornire solidarietà a colleghi che peraltro non risultano esser sotto giudizio alcuno? Dove il rispetto per l’attività professionale dei colleghi ? (art. 58)».
Rassegna Stampa
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