Nigeria: senza cesure, senza censure
«Le nostre Chiese in Oriente sono Chiese apostoliche perché sono martiri. La fede infatti non è né una questione ideologica, né un’utopia, quanto piuttosto un legame personale, a volte esistenziale con la persona di Cristo, che amiamo e al quale doniamo l’intera nostra vita. Per Lui, bisogna ogni giorno andare un po’ più lontano, fino al sacrificio. Tale è l’espressione assoluta della fedeltà a questo amore: oggi più che mai.»
(Louis Sako, Arcivescovo caldeo di Kirkuk, Prefazione a R. Casadei, Tribolati, ma non schiacciati)
Ci hanno provato ancora. La notte di Natale, nel villaggio di Peri, a nord della Nigeria. Armati, hanno colpito un’altra chiesa. Durante la Messa sono morte cinque persone e il sacerdote.
E’ il terzo Natale di sangue, in Nigeria, ma questi morti, da noi, quasi non fan più notizia.
E’ questo che vuole, io credo, chi semina orrore. Più ancora che dimostrare forza, logorarci perché vinca l’abitudine. Lì il terrore, perché i cristiani lascino la loro terra; in Occidente l’indifferenza, che è vittoria per gli assassini ed è scoramento per chi si sente ogni giorno lasciato più solo.
E’ per questo che dobbiamo gridare dai tetti i nomi dei nigeriani ammazzati dall’odio anticristiano. Ieri, oggi e ogni volta che un fratello viene perseguitato, rapito, ucciso. Chi è lì ha bisogno di sentirsi Chiesa, e noi che siam qui non possiamo fingere di non vedere, di non sapere. Non più.
Lo scrivo per noi.
Che ciascuno, qui, faccia quel che può, quel che gli compete: se è politico, che smuova la politica; se scrive, che racconti senza cesure, senza censure. Se è prete, che ricordi sull’altare e dall’altare questi poveri cristi morti, in Cristo, la notte di Natale.
Lo scrivo per noi.
Non sono numeri, i cristiani perseguitati ogni giorno nel mondo; non sono numeri le persone trucidate nello Stato di Yobe la notte di Natale. Per rendere vana l’azione di tutti i Boko Haram della terra occorre entrare nella vita di chi vivo non è più: raccontare la sua storia; ripetere, almeno, il suo nome. Imparare dagli uomini e dalle donne semplici: da chi si reca in Chiesa non per abitudine ma per amore, senza poter dare per scontato che tornerà a casa. Sentire il racconto di chi è sopravvissuto alla morte.
Lo scrivo per noi.
Perché il sangue dei martiri sia seme di nuovi cristiani occorre che i cristiani aprano gli occhi e si sturino le orecchie e facciano passaparola.
Ma c’è bisogno di altro per sconfiggere tutti i Boko Haram del mondo.
«Per Dio-Bambino val veramente la pena donare la vita, come ha fatto S. Stefano. Affidami a lui!». E’ l’sms che mi ha inviato oggi Luca, un amico seminarista.
Lo scrivo per noi.
Insieme alle parole dell’arcivescovo caldeo Louis Sako. Insieme al ricordo dei sei cristiani morti ammazzati a Peri. Di tutti i fratelli martiri per la fede.
Per non avere paura di morire bisogna guardare chi sa come vivere.
Rassegna Stampa
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