Menzogne e ambiguità alla base della legge 194
Pubblichiamo di seguito per la rubrica di Bioetica l’intervento di Marina Casini, dell’Istituto di Bioetica dell’Università Cattolica di Roma.
1) Dalla presentazione della relazione si evince un atteggiamento di partenza che inevitabilmente condiziona la stessa lettura interpretativa della legge: “saggia”, “lungimirante”, “equilibrata”, “efficace”, profondamente rispettosa della salute e della responsabilità femminile”, ecc. E’ evidente, quindi, che a seguito delle recenti discussioni sull’aborto e sulla legge 194 si cerca di irrobustire ed innalzare il muro difensivo costruito negli anni attorno alla legge stessa. In realtà, come sappiamo, nessuno di questi aggettivi riguarda veramente la 194, la quale – come risulta sempre più alla luce dei trent’anni trascorsi dalla sua entrata in vigore – è stata generata dalla menzogna e di menzogna e ambiguità è alimentata. La prima ambiguità è in quella “tutela della vita umana sin dal suo inizio” che lo Stato dichiara di voler garantire. Infatti, se da un lato si lascia intendere che la gravidanza non riguarda solo la donna, ma anche “qualcuno” che vive e cresce dentro di lei, dall’ altro lo Stato assicura la soppressione di quel “qualcuno” offrendo la sua forza e il suo servizio.
La menzogna e l’ambiguità potrebbero essere dissolte a cominciare dalla tutela del “diritto alla vita sin dal concepimento”. In realtà è proprio di questo che la legge e i suoi difensori hanno paura: che si riconosca che nel grembo della donna – per quella “specialissima relazione umana” (parole della Turco ne Il Foglio del 16 gennaio 2008!) – c’è un figlio, tanto piccolo quanto indifeso e che perciò lo Stato, la società e le sue leggi si devono occupare anche di lui.
2) La menzogna si spinge a ripetere ossessivamente che gli aborti sono diminuiti e che la legge funziona. Questa affermazione in sostanza non aggiunge nulla di nuovo a quanto affermato nelle precedenti relazioni ministeriali e a quanto sostenuto in questi anni come principale argomento a difesa della legge 194: la legge funziona perché negli anni ha permesso di ridurre il numero degli aborti sia legali che clandestini!
La spiegazione principale dell’asserita diminuzione degli aborti è ravvisata nella relazione ministeriale nella contraccezione. Ricordando comunque l’importanza della riflessione etica sulla contraccezione, e ritenendo necessario distinguere la contraccezione dai metodi dichiarati contraccettivi ma che in realtà sono abortivi, è da chiedersi se la contraccezione non si sarebbe diffusa in uguale misura a prescindere dalla legge che legalizza l’aborto e si osserva che se fosse la contraccezione a ridurre l’aborto non si capisce perché tale merito dovrebbe attribuirsi alla legge 194.
La tesi che la legge 194 ha ridotto gli aborti perché avrebbe diffuso la contraccezione è contrastata dal confronto con Francia, Gran Bretagna, Germania, Paesi di tradizione e popolazione simile alla nostra nei quali la contraccezione è più diffusa che in Italia. In Francia ed Inghilterra, nonostante la più diffusa contraccezione, gli aborti sono molto più numerosi che in Italia e la loro cifra è rimasta pressoché costante nel corso degli anni: 200.000. In particolare, dal 1990 al 2000 sono aumentate del 3% le donne che usano contraccettivi (dall’80% all’83%) e dal 1990 è disponibile la pillola abortiva. Ebbene, la percentuale degli aborti per le donne al di sotto dei 20 anni è salita dal 36 al 39%. Ciò dimostra che non è la contraccezione a diminuire l’abortività e che, anzi, la mentalità contraccettiva diffonde una mentalità anti-life. Viceversa, in Germania, nonostante la popolazione tedesca sia molto più numerosa di quella italiana e nonostante il più alto ingresso di extracomunitari, le interruzioni di gravidanza sono state sempre meno frequenti che in Italia. Questo fenomeno si spiega con il fatto che l’ordinamento giuridico tedesco impone un’educazione che riconosce l’embrione come un essere umano e che la rete dei consultori, numerosi ed efficienti, ha lo scopo esplicito e dichiarato anche alla madre di difendere la vita del figlio attraverso il consiglio e l’aiuto.
La diffusione massiccia della contraccezione non è dunque all’origine dell’asserita diminuzione degli aborti e in ogni caso non implica una disciplina legislativa sull’aborto. In effetti, dal 1982 – anno in cui gli aborti legali furono 234.593 – gli aborti registrati ai sensi della 194 sono andati calando tra una variazione e l’altra (nel 2004 vi è stato un aumento rispetto al 2003 del 3,4% che corrisponde al numero di 5.945 aborti), stabilizzandosi su una media annuale di circa 130.000-135.000. Si tratta però di cifre – come quella indicata dal Ministro nell’attuale relazione (127.038) – che non tengono conto di alcuni fattori:
A) dell’ancora persistente e non misurabile aborto clandestino,
B) dell’assorbimento dell’abortività, incontrollabile ed occulta, dovuta all’assunzione della c.d. “pillola del giorno dopo”;
C) della diminuzione delle classi di età feconda per effetto del crollo delle nascite;
D) dell’innalzamento dell’età matrimoniale (l’aborto è prevalentemente, purtroppo, un fenomeno “familiare”).
Quanto al punto A), la relazione elogia la 194 per una rilevata diminuzione degli aborti clandestini. A parte il fatto che la legge è stata approvata con l’auspicio di eliminarli completamente (!), può anche darsi che l’abortività c.d. clandestina sia diminuita, anche se vi sono fondate ragioni per ritenere che le sacche di clandestinità emergenti fanno pensare ad un’abortività eseguita in modo sistematico e professionale e di gran lunga superiore rispetto a quella concretamente scoperta dagli inquirenti.
In ogni caso, il punto non è questo. Il punto è: l’aborto volontario è un male in sé o un male solo in relazione alle sue modalità (legale o clandestino)? E se l’aborto volontario è un male in sé, non vi è dubbio che la legalità ha fatto da moltiplicatore degli aborti, non tanto perché facendosene carico lo Stato l’aborto è stato di fatto agevolato, quanto perché la legalizzaizione ha contribuito ad attutire nelle coscienze il fatto che in gioco c’è un figlio reale e concreto, un figlio che ogni intervento abortivo caccia non solo dal grembo della madre ma anche dalla società.
Quanto al punto B), non si può ignorare il fatto che accanto alla clandestinità dell’aborto chirurgico, in questi anni è andata incrementando l’abortività occulta dovuta sia all’assunzione della pillola Ru486 senza controllo medico e senza ospedalizzazione (con gravissimi rischi per la salute fisica e psichica della donna e in qualche caso anche per la vita), sia all’assunzione della c.d. “pillola del giorno dopo” chiamata – secondo il noto meccanismo dell’antilingua – “contraccezione d’emergenza”.
In particolare, dagli studi scientifici sul meccanismo di azione della “pillola del giorno dopo”, risulta che tale preparato chimico di tipo ormonale caratterizzato dal principio attivo “Levonogestrel”, contenuto nelle sostanze farmaceutiche denominate Norlevo o Levonelle e commercializzato in Italia in base al decreto n. 510 del 2000, costituisce di fatto una pratica abortiva, non registrabile perché precocissima. Tale considerazione si fonda anche sulla sentenza del Tribunale Amministrativo della Regione Lazio (TAR-Lazio) del 12 ottobre 2001. Quest’ultima ha dichiarato parzialmente illegittimo il provvedimento di commercializzazione del suddetto farmaco, osservando che se da un lato, la descrizione del “blocco dell’ovulazione” contenuta nel foglio illustrativo “si configura conforme a criteri di corretta e completa informazione del consumatore”; dall’altro, la descrizione “dell’impedimento dell’impianto” risulta carente, perché “priva di oggetto, non precisando che l’effetto […] si riflette sull’ovulo fecondato”. Di conseguenza il TAR, pronunciatosi su ricorso del Movimento per la vita e del Forum delle associazioni familiari, ha imposto la modifica del foglietto illustrativo del Norlevo affinché l’utente fosse “edotto in maniera chiara e non equivoca che il farmaco agisce sull’ovulo già fecondato impedendo le successive fasi del processo biologico di procreazione”.
Si consideri che tale forma di aborto precoce è in contrasto con la disciplina della Legge 194 tra le cui finalità vi è anche quella di reprimere le pratiche abortive che si svolgono in circostanze differenti da quelle previste dalla stessa legge, in particolare, nel caso di assunzione della “pillola del giorno dopo”, al di fuori delle procedure previste agli artt. 4 e 5.
A conforto di quanto affermato viene un passaggio della relazione presentata nel 1994 dal Ministro della Sanità sull’attuazione della legge 194/1978: «è motivo di preoccupazione il diffondersi probabile di metodiche impropriamente chiamate contraccettive, che, in realtà non impediscono la fecondazione dell’ovulo, e che perciò non vanno catalogate nel campo della contraccezione. Variamente denominate (“pillola del giorno dopo”, “contragestazione”, “pulizia mestruale”) queste metodiche vengono usate dopo un rapporto non protetto, omesso l’accertamento della gravidanza. Sfuggono perciò ad ogni controllo, anche se violano la legge 194, il cui art. 1 non distingue tra tutela della vita prima o dopo l’impianto e possono aumentare in modo non verificabile la quantità di abortività clandestina».
Pare che in Italia vengano vendute ogni mese ventimila confezioni di Norlevo o di Levonelle. Il “Corriere della sera” del 15 novembre 2007 riportava i seguenti dati: dal 2000 al 2007 la vendita è aumentata del 59%; la “pillola del giorno dopo” è utilizzata soprattutto dalle minorenni (una su due); oltre la metà delle acquirenti ha meno di venti anni (55%) e il resto delle pillole è andato alle donne dai 20 ai 50 anni (45%); dal giugno 2006 al luglio 2007 sono state vendute in Italia 356.000 pillole del giorno dopo, oltre mille al giorno.
Quindi, anche se l’effetto abortivo non si verifica automaticamente per ogni assunzione, è certo che vi è un notevole numero di aborti precocissimi e nascosti che incrementano la clandestinità e, ovviamente, riducono la somma totale delle IVG registrate.
In ogni caso, la cifra complessiva degli aborti che recano il timbro della L. 194 resta elevatissima ed è evidente il contrasto con il dettato della stessa legge 194, secondo cui l’aborto non deve essere usato come mezzo di controllo delle nascite: l’elevato numero degli aborti sembra provare che in un gran numero di casi è proprio questo l’uso che ne viene fatto.
Bisogna aggiungere che se una diminuzione vi è stata, il merito non è della legge 194, ma di altri fattori che “nonostante” la 194 hanno fatto breccia nella società. L’incessante messaggio sulla vita della Chiesa, in particolare durante il lungo pontificato di Giovanni Paolo II (iniziato proprio nel 1978, anno in cui venne approvata la legge 194), il tenace lavoro del Movimento per la vita e dei Centri di aiuto alla vita, la presenza operante nella società di associazioni come Scienza e vita, e di altre realtà che arricchiscono il “popolo della vita”, hanno certamente prodotto un effetto di sensibilizzazione delle coscienze che ha diminuito il numero degli aborti. Centomila figli giunti alla nascita grazie alla discreta e intensa solidarietà offerta dai Centri di aiuto alla vita, sono un segno di questa non ignorabile realtà. C’è dunque un solo modo di ridurre l’aborto: promuovere una “cultura per la vita” la quale riconosce l’uomo fin dal concepimento. Se il concepito è un essere umano, la società nelle sue leggi non può considerarlo diversamente come considera tutti gli altri esseri umani.
3) La “spia” dell’emarginazione del concepito nell’applicazione della legge e nella sua interpretazione – nonché in prima istanza nella sua equivoca formulazione – è data dalla preoccupazione con cui nella relazione si indica un aumento dei medici obiettori di coscienza. L’allarmismo su questo aspetto è dovuto all’incomprensione della ragione dell’obiezione di coscienza: essa esprime la testimonianza (spesso pagata con penalizzazioni sul luogo di lavoro) che il figlio è figlio sempre, anche quando è nascosto e avvolto nel grembo della madre.
4) Ferma restando l’opportunità di una riforma della legge nella direzione del riconoscimento del diritto alla vita del concepito togliendo ogni ambiguità alle parole, è da valutare seriamente anche una incisiva correzione della legge nella fase della sua applicazione. In questo senso la relazione del Ministro è veramente carente. Eppure la funzione dell’art. 16 è chiara: mantenere costante l’attenzione degli organi politici e legislativi sul funzionamento della legge allo scopo di promuoverne e attuarne eventuali modificazioni, correzioni esecutive, integrazioni.
E’ proprio sotto questo profilo che la relazione ministeriale non ha offerto sufficienti elementi di valutazione. Il tema della prevenzione non è affrontato in modo impegnato ed esaustivo, perché è stato interpretato solo in termini contraccettivi. La relazione attuale – come del resto le precedenti – sono state così trasformate in adempimenti semi-burocratici limitati a registrare statisticamente il numero delle IVG effettuate nell’anno di riferimento e a darne classificazione in base al territorio, all’età gestazionale, alle caratteristiche anagrafiche delle donne, alle metodologie di intervento, ai soggetti ai quali le donne si rivolgono per avviare l’iter dell’IVG.
In realtà la legge sia pure debolmente prevede una prevenzione dell’aborto a concepimento avvenuto (prevenzione post-concezionale) e la relazione ministeriale avrebbe dovuto indicare non solo il numero degli “aborti legali”, ma anche quello dei nati vivi per applicazione della legge, nonostante l’inclinazione verso l’aborto da parte della donna.
Sarebbe dunque opportuno – come del resto è stato già sottolineato dal Movimento per la vita in più occasioni – modificare la relazione annuale del ministro della salute e, prima ancora, le schede di rilevazione che esso deve predisporre ai sensi dell’art. 16 L. 194/78. Per sapere la reale applicazione della Legge 194, le schede di rilevazione dovrebbero far conoscere:
– quali iniziative sono state adottate dagli enti locali per evitare che l’aborto sia usato come mezzo di controllo delle nascite;
– quali collaborazioni sono state avviate (mediante regolamenti e convenzioni) tra i consultori e le associazioni di volontariato (o strutture sociali operanti sul territorio) che hanno il compito di aiutare le maternità difficili o indesiderate;
– quali “speciali interventi” sono stati attuati (direttamente o indirettamente) quando la gravidanza o la maternità creino problemi per risolvere i quali risultano inadeguati i normali interventi;
– quali contributi sono stati offerti alla donna al fine di superare le cause che potrebbero indurla all’IVG;
– quali alternative le sono state offerte;
– quali sono state le cause degli aborti effettuati;
– quanti casi l’IVG è stata evitata per effetto di una consulenza e di un aiuto delle istituzioni pubbliche in favore della nascita;
– qual è stata la ragione delle dichiarazioni di urgenza che ha giustificato l’eliminazione dell’attesa dei 7 gg.;
– quali sono le patologie dei nascituri che hanno giustificato l’IVG per motivi di salute della madre oltre i primi 90gg.;
– se sono stati fatti riscontri diagnostici per vedere se le anomalie/malformazioni del nascituro erano realmente esistenti;
– se la malattia psichica della madre è stata diagnosticata, e da chi; – qual è l’età gestazionale fino alla quale vengono eseguiti gli interventi di IVG;
– se è stata effettuata una collaborazione con i neonatologi;
– come monitorare la frequenza dell’aborto illegale;
– quanti bambini sono nati per effetto della legge, nonostante l’iniziale inclinazione all’aborto della madre.
Di tutto questo non vi è traccia. Segno evidente che ciò che sta a cuore alla Legge 194 e ai suoi sostenitori non è né la tutela della vita umana sin dal suo inizio, né la tutela sociale della maternità, ma la scelta dell’aborto da garantire senza considerare che in gioco c’è l’esistenza di un figlio e la serenità di una madre.
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