Ma le mense della Caritas non sono ristoranti…
L’INFONDATA POLEMICA SUI PRESUNTI PRIVILEGI FISCALI DELLA CHIESA
Strano Paese l’Italia. Stiamo in fondo alla fila in Europa per virtuosismo fiscale, nel senso che chi è bravo (o furbo) cerca di non cedere un euro allo Stato. Strano Paese l’Italia, che esulta per un tesoretto dopo l’altro e s’appiccica al petto una medaglia ogni volta che le casse dello Stato s’impinguano di soldi di evasori pentiti o smascherati. Dovrebbe essere normale che tutti paghino le tasse, se questo fosse un Paese normale. Ma così non è. E allora fiato alle trombe! C’è un Valentino Rossi, campione di motocicletta, a cui il fisco un giorno fa due conti in tasca. Lui s’adombra e lo ritiene uno schiaffo. Manda una cassetta preregistrata alla tivù con la propria autodifesa di poveraccio emigrato all’estero, e quasi nessuno s’indigna. C’è un sottosegretario all’Economia, Paolo Cento, verde e radicale, che affibbia la colpa dell’evasione alla Chiesa e anche in questo caso quasi nessuno s’indigna.
Strano Paese l’Italia. Quando molti arrancano sulla stretta via che insegue furbetti di varia natura, ecco profilarsi all’orizzonte la madre di tutti i guai fiscali: la Chiesa cattolica! Gode di privilegi enormi, che vanno sbaragliati. Possiede immensi beni e benefici, che vanno, naturalmente tassati. E dunque non può atteggiarsi a paladina della lotta all’evasione, spiegando che le tasse vanno pagate. Insomma: da quel pulpito non può venire la predica.
Il sottosegretario Paolo Cento ha decretato la scorsa settimana che se le cose in Italia vanno male dal punto di vista fiscale, la colpa è anche della Chiesa che non paga “giuste tasse” e che <<nel corso degli anni ha accumulato privilegi>>. Ma non ha spiegato di quali privilegi si tratterebbe e ha fatto una gran confusione tra Chiesa italiana e Santa Sede.
Intanto sgombriamo il campo dall’equivoco: la Santa Sede non c’entra nulla, perché si tratta di uno Stato sovrano, riconosciuto da centinaia di Governi di tutto il mondo, compreso quello italiano, con il quale esiste un Concordato che regola reciproche questioni. Resta la Chiesa italiana. Con essa lo Stato italiano ha stipulato un’Intesa, approvata dal Parlamento, che prevede anche un regime fiscale.
La destinazione dell’8 per mille alla Chiesa cattolica e alle altre Chiese, che hanno sottoscritto lo stesso patto, essendo l’Italia un Paese democratico che considera un sommo bene la libertà religiosa, non è un privilegio, ma un atto di esercizio democratico a disposizione dei cittadini. Cioè si può dare o non dare, o dare alla Chiesa cattolica o ad altre confessioni religiose.
Naturalmente si può discutere se l’8 per mille sia tanto o poco. Per il resto il patto prevede che le attività economiche della Chiesa italiana siano tassate al pari degli altri contribuenti. Lo dicono le Intese tra Governo e Chiesa cattolica. Se Cento non ci crede vada a rileggersi le carte.
S’affaccia di nuovo la questione dell’Ici. E anche qui Cento fa pasticci. La Chiesa non la paga solo per gli immobili, dove si fa un’attività sociale e non commerciale. Forse Cento pensa che le mense della Caritas facciano concorrenza ai ristoranti? Qualche anno fa per evitare equivoci la Conferenza episcopale ha obbligato i parroci a non offrire i campanili delle chiese alle società telefoniche per piazzarci antenne: sarebbe risultato un uso economico improprio di un edificio destinato al culto, sottoposto a regime fiscale speciale.
Sicuramente Cento conosce tutte le carte. Ma allora perché parla? (Che dice di queste “sortite” il Presidente del Consiglio?). L’impressione è che la sinistra verde e radicale, in un momento di difficoltà, intenda lucrare consenso a spese della Chiesa. Il dibattito politico si concentra oggi sul Partito democratico, da cui si sono autoesclusi. Allora bisogna trovare un modo per calcare la scena.
Riproporre la tassazione dei beni ecclesiastici, vecchia idea di “rapina” già praticata dai Giacobini, dai Borboni e dai Piemontesi massoni, con la legge della “manomorta” (7,20 per cento sulla rendita dei beni ecclesiastici e 0,90 per cento sulla carità), voluta dal conte Cavour e abolita solo da De Gasperi, non fa onore all’intelligenza di un sottosegretario di Stato all’Economia, né al Governo che rappresenta.
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