Ma la notte (bianca) no
Dopo il j’accuse di Veneziani e Diamanti la discussione non si placa. Cardini: «C’è l’esigenza di stare insieme». Cassano:«I giovani rischiano lo sballo». Fofi: «Basta con questi riti solo consumistici»
«Adda passà ‘a nuttata» diceva Eduardo De Filippo. Ma di quale notte parlava? Oggi ce n’è una che sembra non passare mai: la «notte bianca». Quell’abbuffata di eventi studiata per mantenere in piedi fino all’alba i cittadini: concerti, mostre dibattiti che a seguirli tutti ci vorrebbe il dono dell’ubiquità. Piazze e strade con fiumi di partecipanti, musei senza orario di chiusura, così come (con loro grande piacere) bar, ristoranti, negozi. Da quando Roma l’ha lanciata nel 2003, la «notte bianca» si è imposta come fenomeno sociale del nostro tempo. Non c’è amministrazione comunale in Italia che non l’abbia inserita nella propria programmazione. Con esiti anche grotteschi e kitsch nei piccoli comuni per la povertà di proposte «culturali» che sono in grado di offrire, come ha fatto notare Marcello Veneziani su Libero qualche settimana fa. Eppure questa manifestazione ha dimensioni europee e continua a suscitare dettagliate analisi sociologiche. Come quella impietosa di Ilvo Diamanti su Repubblica domenica. La sua «bocciatura» raccoglie in larga parte consensi tra gli studiosi, anche se con sfumature diverse. Dice lo storico Franco Cardini: «È vero, le “notti bianche” rappresentano la crescente spersonalizzazione odierna. Ciascuno vive, si diverte o finge di divertirsi per conto suo, attorniato da altri, ugualmente soli, che condividono l’affollamento. Un po’ quello che succede in discoteca. La “folla ha sostituito la comunità”, ha ragione Diamanti. Si è perso il tradizionale modo di divertirsi e vivere insieme». Però Cardini trova motivi di interesse: «Le notti bianche nascondono un’esigenza di cui dobbiamo tener conto: la voglia di stare insieme. Ma manca la condivisione. Già san Tommaso ammoniva che la massa è una somma di individui che non fa comunità. Le notti bianche sono la spia di un malessere sociale a cui non si può rispondere con un supermarket della cultura, in cui c’è tutto e il contrario di tutto, con un evento che asseconda logiche consumistiche e politiche demagogiche. Occorre recuperare il senso della comunione, del discutere insieme, così come si faceva negli anni Settanta nelle Case del Popolo o nei circoli cattolici». Franco Cassano, docente di Sociologia all’Università di Bari, è preoccupato: «C’è un’esaltazione ulteriore e pericolosa dell’idea di fruire del mondo 24 ore su 24. Il tentativo di abolire la notte è parte di una strategia più ampia di abolizione dei limiti di un certo modo di vivere. Tutto in nome del consumo, della spettacolarizzazione: è la stessa logica di chi vuole abolire la domenica. C’è invece un tempo come quello notturno che è funzionale anche ad altri aspetti della nostra personalità. La pausa e il silenzio favoriscono per esempio la riflessione». Il sociologo però non è categorico: «Senza dubbio c’è il bisogno di uscire dalla solitudine e ci stanno anche nottate ludiche. Ma mi spaventa questo rito di massa di infrangere il limite, tipico delle attuali società urbane. E questi eventi che assomigliano a macchine per produrre sempre nuove emozioni». Il rischio maggiore, secondo il docente, lo corrono i giovani:«Negli ultimi anni le nuove generazioni si sono appropriate come non mai della notte. Se c’è un bisogno positivo di socialità, spesso la notte è sfogo della propria precarietà, della mancanza di un lavoro. E se il rifugio diventa lo sballo, siamo di fronte a una risposta drammatica che la politica non può evadere. Attenzione agli eventi che si propongono. Oggi c’è un patto perverso tra giovani e società: i ragazzi sono protagonisti di notte, ma comparse di giorno». Il critico letterario Goffredo Fofi non è certo un sostenitore delle «notti bianche». Tutt’altro. «Mi sembrano – afferma- solo grandi riti collettivi, in cui le persone sono più tristi e sole. Un modo per evadere dai problemi quotidiani. La disoccupazione avanza ed ogni occasione è buona per divertirsi. Purtroppo oggi la politica bada solo al consenso e quindi ben vengano spettacolo, tempo libero, consumo e divertimento . La cultura non c’è o conta pochissimo. Ci sono per fortuna ancora persone che non si lasciano schiacciare da questa massificazione. Perché la “notte bianca” rientra tra tutti quegli eventi, anche di festival e premiazioni letterarie, che non aiutano la gente a pensare, in quanto dominati da una logica prettamente consumista. E questo vale soprattutto in Italia». Anche se poi paradossalmente la prima «notte bianca» è stata organizzata a Parigi. «Sì – ribatte Fofi – ma in Francia c’è una solidità sociale maggiore e tensioni etiche che arginano questi fenomeni da festa collettiva. E non è come da noi, che la notte bianca dura tutto l’anno…». Insomma se con «adda passà a nuttata» Eduardo si augurava tempi migliori, da questo punto di vista c’è poco da stare allegri. Preme alle porte la «notte bianca» di Roma del 7 settembre. Il giorno può aspettare.
Rassegna Stampa
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