L’uomo che ha provato fino all’ultimo a salvare Luca Attanasio, l’ambasciatore in Congo
Un abbraccio come quello della Madonna nella Pietà. Mentre il respiro stava volando via da Luca Attanasio, l’ambasciatore italiano in Congo ferito a morte ieri in un agguato, non era solo. Lo ha accompagnato quell’ultimo abbraccio, quella mano che stringeva la sua per tenerla in vita. Non so chi fosse quell’uomo che è stato la sua ultima luce. Era con Luca prima che partisse per il viaggio fatale, sulla maledetta strada che attraversa il parco dei gorilla quasi al confine con il Ruanda.
Un collaboratore in ambasciata sicuro. Un amico, dice la disperazione dei suoi occhi, il dolore che paralizza i muscoli del volto. E la dolcezza di quella mano che ancora dona l’ultimo lampo di vita. Ho pensato a lungo ieri prima di decidere di pubblicare questa foto, nascondendo il volto di Luca per rispetto a lui e alla bella moglie Zakia con le loro tre piccole bimbe. Ma il volto di quell’amico, quella mano che stringe e accarezza come Maria raccogliendo ai piedi della Croce suo Figlio (“Tutto lo strinsi, tutto lo chiusi qui, dentro di me” le faceva dire Giovanni Testori nel suo Interrogatorio a Maria), è la Pietà che accompagna sempre l’uomo anche in quel luogo del mondo dove la vita sembra non valere più nulla, troncata da machete e proiettili ogni giorno.
“Siamo di Dio e a Lui ritorniamo”, scriveva pochi giorni fa Zakia Seddiki Attanasio, il 4 febbraio, quinto anniversario della scomparsa del papà, “che Dio abbia misericordia di te, che Dio faccia che il Paradiso sia con te”. Così sia per Luca.
Rassegna Stampa
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