L’ultima battaglia di un uomo
Per tutto il pomeriggio di domenica nelle immagini dei tg quell’uomo aggrappato alla rete di protezione del viadotto dell’A14, verso Francavilla al Mare, i piedi a stento poggiati sulla soletta di cemento: sotto, un abisso di trenta metri, in basso carabinieri e polizia e ambulanze, e curiosi con gli occhi all’insù. Fausto Filippone, 49 anni, dirigente d’azienda, sposato, padre, uomo definito da tutti tranquillo, a mezzogiorno di una domenica di maggio ha visto la sua vita travolta da una tragica, ancora oscura piena. La moglie, insegnante, precipita dal terzo piano di casa e muore poco dopo. Caduta? Spinta? O invece si è buttata? Non ci sono testimoni, nessuno sa. Ma pochi minuti dopo Filippone va a prendere la figlia Ludovica, dieci anni, dagli zii e si dirige verso l’A14. Verso un viadotto che corre sopra un precipizio. Ferma la macchina al km 389, come se già conoscesse quel punto. Come se altre volte, passando in auto, avesse annotato fra sé quando terribile era il vuoto, lì sotto. Prende per mano la figlia, la solleva oltre il guard-rail, la precipita nel nulla. Tocca il suolo con un tonfo leggero il suo piccolo corpo di bambina.
Poi, anche l’uomo scavalca. Ma non si butta. Per sette ore resta lì, in quel vertiginoso bilico, e così, ora dopo ora, lo vediamo in tv. Ora dopo ora, la nostra domenica tranquilla e quell’uomo sul viadotto, che guarda giù, stacca una mano dalla rete, sembra decidersi, poi torna a aggrapparsi saldamente. “Scusa! Scusa!”, grida nel vuoto, come rivolto alla bambina. Non vuole che nessuno le si avvicini. Ascolta a stento le parole degli agenti e degli infermieri, che lo esortano a desistere. Di nuovo si stacca dal sostegno. Di nuovo cambia idea. Per sette ore. Un’infinita pena, in te che pure lo guardi da estranea. Un’infinita pena per quell’uomo che, spinto da non sai quale disperazione o follia, ha appena, comunque, ucciso la sua bambina, e dunque nel cuore è già come morto; e vuole, ha deciso di farla finita, giacché il pensiero di ciò che ha fatto è insopportabile; eppure qualcosa all’ultimo istante lo trattiene, e le mani sudate si riavvinghiano all’ultimo sostegno. Cosa lo ferma? Un istinto di vita terribilmente umano, terribilmente forte. La moglie è morta, la bambina è quella piccola chiazza chiara inerte, laggiù fra i cespugli. L’ha buttata forse per non lasciarla sola in un mondo che gli pare terribile, l’ha buttata con l’idea di seguirla immediatamente e morire insieme? Ma, adesso, non ce la fa. Il nulla, sotto, gli comunica un orrore insuperabile.
La vita di Fausto Filippone in un’ora, non sappiamo ancora come, è stata sconvolta da una frana di morte. Eppure questo pover’uomo ancora ha in sé una fiammella che gli sussurra: non farlo, vivi, c’è ancora una speranza. Quando alza gli occhi al cielo, è forse per una preghiera? Che immane lotta, al chilometro 389 dell’A14, mentre le auto dietro sono ferme in coda, e nessuno suona il clacson. Di sotto, fra chi è accorso a vedere, ci si racconta di una famiglia normale, mai una lite. Un lutto, sì, la mamma di lui morta recentemente, dopo una lunga malattia, e il figlio fattosi più silenzioso. Ma in quante case muore un vecchio, e la vita, pure dolorosamente, continua? Appena l’altro giorno, dicono i conoscenti, Fausto e la moglie avevano portato la bambina a una manifestazione canora. Ludovica aveva cantato “Controvento” di Arisa. Tutto così semplice, così familiare. Nessuno che si fosse accorto di niente. Poi, repentina, l’onda di morte. Quell’uomo tranquillo trascinato via, spinto all’inaudito: uccidere la figlia. Certo pensando: e subito mi getto anch’io. Invece, sette infinite ore. Lottando, diviso fra forze immani. La morte, e, nonostante tutto, ostinata, la vita, che gli attanaglia alla rete di metallo le mani. Infine, è quasi sera, uno schianto. L’epilogo della tremenda battaglia di un pover’uomo. Il cielo sopra, immenso e muto. Eppure, ne sei certa, una misericordia immensa ora abbraccia quel soldato travolto e caduto.
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