L’Italia e la bussola del Quirinale
Il messaggio di fine d’anno del presidente della Repubblica italiana Giorgio Napolitano ha messo, almeno formalmente, tutti d’accordo. Tanto che, tra le forze politiche, anche la Lega ha espresso apprezzamento, soprattutto per la parte del discorso nel quale il capo dello Stato si è soffermato sulla necessità di riforme di sistema, che per il Carroccio significa in sostanza varare al più presto il federalismo.
Un plauso bipartisan per certi versi scontato. Tuttavia, le circostanze attuali – sia riguardo allo stato dell’economia, sia riguardo al quadro politico, influenzato da alcune vicende giudiziarie – inducono a considerare con più attenzione l’analisi proveniente dal Quirinale. Nel suo discorso, seguito da tredici milioni di italiani, Napolitano ha fatto appello soprattutto all’unità del Paese. È accaduto quando ha citato la stagione feconda del dopoguerra e quando ha parlato delle prospettive che pure si aprono in un momento cruciale come è quello dell’attuale crisi economica mondiale. Il capo dello Stato lo ha ribadito anche alla fine del discorso, quando ha ricordato a tutti il ruolo che la Costituzione affida al presidente: il compito di rappresentare tutti gli italiani e di farsi interprete dei principi che i costituenti vollero fossero iscritti nella Carta costituzionale.
Un passaggio, quest’ultimo, che sembra tradire due preoccupazioni. Una, già espressa da Napolitano, è che le riforme della Costituzione non tocchino quelle parti della carta che stabiliscono i principi fondamentali e garantiscono l’equilibrio dei poteri. L’altra preoccupazione riguarda il clima scaturito da eccessive contrapposizioni fra le parti politiche, ulteriormente alimentate dalle polemiche sorte a seguito delle vicende giudiziarie. Un clima di ostilità che – nella visione del Quirinale – oltre a mettere in pericolo il varo di riforme equilibrate, e quindi condivise, potrebbe portare molti italiani a una deleteria sfiducia nelle istituzioni. Né il capo dello Stato – sembra dire Napolitano – può assumere ruoli che non gli sono affidati dalla Costituzione. Una posizione ribadita già in occasione delle polemiche relative alla riforma della scuola, quando allo stesso capo dello Stato fu consegnato un messaggio da esponenti del mondo accademico nel quale si chiedeva di intervenire a favore dell’università. Allora, rispondendo al messaggio, Napolitano chiarì i limiti del suo ruolo. Nel discorso di fine anno ha però ricordato quanto sia preziosa la ricerca per il futuro del Paese. La necessità di salvaguardare la fiducia nelle istituzioni e nei rappresentanti politici è anche alla base del mancato accenno alle vicende giudiziarie; a quella che viene definita ormai come una nuova “questione morale”. Napolitano ha però citato l’urgenza di riforme, fra l’altro, anche nel campo dell’amministrazione della giustizia. Un appello che fa riferimento alle difficoltà che il sistema giudiziario incontra per diversi motivi nella sua attività quotidiana, ma anche ai possibili usi impropri delle inchieste, in particolare delle intercettazioni.
Tutti questi temi sono stati già affrontati dal Quirinale in altre occasioni. In effetti il discorso di fine anno può essere considerato una sorta di sintesi di quanto Napolitano ha ripetuto nel corso di tutto il 2008. Un anno nel quale molte volte, anche al di là della circostanza propizia della visita del Papa al Quirinale e degli incontri con Benedetto XVI, il presidente della Repubblica si è trovato in naturale accordo con il Pontefice. Nel momento di crisi che tutto il mondo sta vivendo, la necessità di riformulare priorità e obbiettivi è chiaramente avvertita in modo più forte anche nella società civile. Tuttavia non è da sottovalutare il ripetersi delle occasioni nelle quali Vaticano e Quirinale si trovano in sintonia e, come è stato detto, sembrano quasi – dall’alto dei due colli – colloquiare con la loro voce autorevole al di sopra delle vicende quotidiane della politica. Napolitano, nel corso dell’intervista rilasciata a “L’Osservatore Romano” nell’ottobre scorso, aveva indicato nelle politiche sociali un campo naturale di convergenza con il mondo cattolico. Oggi, secondo molti osservatori, la realtà spinge ad andare oltre la contingenza. L’attenzione con la quale il presidente della Repubblica italiana segue il magistero di Benedetto XVI dimostra quanto la necessità di ripensare totalmente valori e sistemi di vita non possa prescindere dal recupero di quella centralità dell’uomo che da sempre la Chiesa ha messo in primo piano nella sua azione, anche concreta.
Rassegna Stampa
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