Le radici che ci danno la speranza per vivere
“Per ringraziare il Signore che, con il dono di sé, ha dato valore e senso a ogni vita umana. Per invocare la sua protezione su ogni essere umano chiamato all’esistenza”. Oggi, vigilia della prima domenica dell’Avvento ambrosiano, nel Duomo di Milano si veglia per la ‘vita nascente’. Fra due settimane un’analoga veglia verrà tenuta in San Pietro, e contemporaneamente in tutte le chiese italiane, rispondendo a un invito di Benedetto XVI.
In questo nostro tempo distratto, che scorre anonimo cadenzato dai weekend o, nelle città, dall’”happy hour”, come viene chiamata l’ora in cui si finisce di lavorare, si affaccia dunque l’Avvento, cioè l’attesa. Attesa di cosa, verrebbe da chiedersi nelle strade che si riempiono di luci. La massima esibizione di segni natalizi quanto spesso corrisponde a un Natale disincarnato, vuoto della memoria di ciò che è: il nascere di Cristo nella carne di un bambino. L’invito del Papa per l’inizio del duemillesimo decimo Avvento della storia sottolinea, della incarnazione, la conseguenza più concreta, più terrestre: quella nascita come portatrice di ‘valore e senso a ogni vita umana’. Che è la radice su cui è cresciuto l’Occidente; radice così profonda da averlo permeato, da esserne considerata la dimensione naturale, prima che cristiana.
Però: “valore e senso a ogni vita umana”, questa affermazione granitica, quante volte sembra violata oggi nelle cronache. Morire per una lite da niente; i clochard dati a fuoco ‘per gioco’; le corse ubriache e mortali del sabato notte, verso l’alba, e i tragici conti del mattino.
Nella storia si è sempre ucciso, e anche più di adesso; ciò che turba, è che lo si faccia per nulla, o per gioco. Come l’eco di un ordine fondamentale violato.
Davvero, è la domanda, facendosi astratta la memoria di quella notte a Betlemme, facendosi quasi una fiaba lontana, lo sguardo sulla vita resta uguale? Nella Evangelium Vitae Giovanni Paolo II scrisse che “nel Natale è svelato anche il senso pieno di ogni nascita umana”. Nel nome di quel bambino gli uomini hanno dovuto riconoscersi fratelli, chiamati insieme a un infinito destino. Questo non ha impedito le più atroci guerre. Ma ciò che si insinua oggi è il nichilismo inconsapevole di chi uccide per nulla, come se un uomo fosse un niente.
Si prega domani in Duomo a Milano, e più avanti in tutte le chiese, in questa memoria: valore e senso di ogni vita umana.
È ‘protezione su ogni vita chiamata all’esistenza’. Sui figli concepiti e subito avvelenati con una pillola. Sugli embrioni ‘sovrannumerari’ scartati nella fabbrica della procreazione assistita; buttati via, o congelati, il loro destino impietrito per sempre. Il disegno di un uomo mille volte ogni giorno legalmente cancellato, come in un’abitudine.
Avvento, è anche ritrovare lo sguardo sull’uomo generato a Betlemme. Se quella notte, magari anche per i cristiani, si fa fioco sentimentalismo, lo sguardo fra noi inesorabilmente cambia. Scrisse la filosofa ebrea Hannah Arendt: “La fede e la speranza nel mondo trova la sua più efficace espressione nelle poche parole con cui il Vangelo annunciò la lieta novella: ‘Un bambino è nato fra noi’ ”. È in questa certezza incarnata che possiamo guardarci come uomini. È in questo cardine che possiamo vivere, sperare e voler continuare nei figli. Senza questa radice, in una vacua smemoratezza che si allarga, il senso manca: e sottile ci corrode la paura.
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