Lavoro stagionale, inferno da clandestini
Denuncia-choc di Medici senza Frontiere.
«Violazioni dei diritti sotto gli occhi delle istituzioni. E gli irregolari? Cacciati solo a fine raccolto»
«Le condizioni degli immigrati impiegati in agricoltura nel Mezzogiorno sono quelle delle aree di crisi dei Paesi in via di sviluppo dove interveniamo. O anche peggio: nei campi profughi in Ciad l’acqua corrente c’è. Cosa che non accade nei due terzi delle catapecchie in cui vivono i braccianti stagionali che lavorano nel Meridione ». È durissimo il giudizio conclusivo di Loris De Filippi, coordinatore delle operazioni di Medici Senza Frontiere.
L’organizzazione umanitaria internazionale è tornata, quattro anni dopo la prima indagine, a verificare la situazione igienico-sanitaria e lavorativa dei braccianti stranieri che arrivano a ‘fare la stagione’ nei campi del Sud. E dal rapporto, Una stagione all’inferno, emerge che nonostante le denunce – di Msf – e le conseguenti promesse – del governo – non è cambiato nulla: sfruttamento brutale, condizioni di vita impossibili, violazioni sistematica della legalità e dei diritti. Il tutto sotto gli occhi di delle istituzioni e delle forze di polizia, che magari «si ricordano di cacciare i clandestini – dice De Filippi – solo a fine raccolto, come ad Alcamo ( Tp)».
Lo afferma senza perifrasi il rapporto di Msf: «I sindaci, le forze di Stato, gli ispettorati del lavoro, le associazioni di categoria e di tutela, i ministeri: tutti sanno e tutti tacciono. L’utilizzo di forza lavoro a basso costo, il reclutamento in nero, la negazione di condizioni di vita decenti, il mancato accesso alle cure mediche sono aspetti ben noti e tollerati. Le istitu- zioni nazionali e locali si tappano occhi, orecchie e bocche dinanzi al massiccio sfruttamento di stranieri nelle produzioni agricole del meridione perché necessari – denuncia Msf – al sostentamento delle economie locali ».
L’organizzazione ha visitato – tra luglio e novembre 2007 – 643 immigrati in Campania, Lazio, Puglia, Basilicata, Sicilia e Calabria, nei coltivi di pomodori, frutta, ortaggi. Vengono dall’Africa subsahariana, Maghreb, sudest asiatico, Europa dell’Est. Il 72% non ha il permesso di soggiorno, il 90% lavora in nero, 4 giorni a settimana per 8/10 ore. La paga? Metà guadagna tra i 26 e i 40 euro al giorno, un terzo anche meno di 25 euro. Nel foggiano pagano a cottimo: 4/6 euro ogni cassone di pomodori da 350 chili. Il 37% deve anche dare da 3 a 5 euro ai ‘caporali’, quelli che li reclutano. Così succede che A., 22 anni, fuggito dal Darfur, un giorno si lamenta della paga: il ‘caporale’ lo picchia davanti a tutti a scopo dimostrativo, ferendolo a un labbro. Paghe da fame: il 38% non riesce a inviare rimesse in patria.
Le condizioni igienico-sanitarie? «Drammatiche». Il 65% vive in strutture abbandonate, il 20% in spazi affittati, il 10% in tende o campi di accoglienza allestito dalle autorità («ma solo per chi ha il permesso di soggiorno », spiega De Filippi), il 5% in strada. Complessivamente il 53% dorme per terra, su un cartone o un materasso. E i servizi igienici? Il 62% non li ha, il 64% non ha acqua corrente, il 44% deve rifornirsi da tubi di irrigazione. Il 69% non ha luce elettrica, il 92% degli alloggi è senza riscaldamento.
Poi c’è la violenza razzista: «In certe aree in Campania, Basilicata e Puglia – aggiunge De Filippi – dalle 19 c’è il coprifuoco. Chi esce rischia di essere aggredito o bersagliato con sassi e bottiglie».
L’assistenza sanitaria? Il 71% non ha la tessera sanitaria, il 59% dopo due anni di lavoro non ha nemmeno il tesserino Stp (straniero temporaneamente presente). Il 76% arriva in Italia in buona salute. Poi, la vita da schiavi: per il 72% Msf ha formulato «almeno un sospetto diagnostico», di cui il 73% è risultato essere una malattia cronica. Nel 22% patologie osteomuscolari (come lombosciatalgia per gli sforzi), il 15% dermatiti per la scarsa igiene e il sovraffollamento, il 13% infezioni respiratorie, il 12% gastro- enterite per la qualità di acqua e cibo, l’11% malattie dei denti, il 10% malattie infettive.
Capita anche che H., marocchino 26enne, nel salernitarno, dopo tre giorni di dolori viene visitato e dimesso dall’ospedale: un antidolorico e una diagnosi di «sindrome dolorosa addominale». Msf sospetta appendicite acuta e lo porta a un altro pronto soccorso: operato d’urgenza. Anche a lui l’Italia sembrava una terra promessa.
In tutto il Sud il dramma dei braccianti: «Nei campi profughi d’Africa almeno l’acqua corrente c’è»
Rassegna Stampa
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