In viaggio con Teresa: la devozione di popolo
In Italia l’urna con le reliquie della Santa di Lisieux
Omaggio di cardinali e carcerati, l’aspettano al gelo
Alle sette di domenica mattina un’urna di legno racchiusa in una teca di plexiglas, portata da quattro uomini, esce da un palazzo di via San Calisto a Roma. Attorno a quella piccola cassa, lunga poco più di un metro e intarsiata d’oro, quattro cardinali hanno celebrato la messa all’alba, dopo averla nella notte vegliata. L’urna viene caricata su una Fiat Multipla che attraversa Roma ancora addormentata, e si ferma davanti al carcere di Regina Coeli.
Duecento detenuti l’aspettano, per celebrare la messa della domenica. Dai principi della Chiesa ai carcerati, che trasportano l’urna per i corridoi del vecchio penitenziario issandola sulle loro braccia tatuate: la piccola cassa passa ogni giorno per le più disparate mani. È stata nella Cappella privata del Papa, e in questa domenica mattina l’accarezza una vecchia clochard, nella chiesa di San Gioacchino ai Prati. In viaggio con Teresa, al seguito della peregrinatio in Italia delle reliquie della carmelitana morta a 24 anni, proclamata da Giovanni Paolo II Dottore della Chiesa. Dopo dieci giorni passati tra chiese e monasteri di Roma, dove decine di migliaia di fedeli sono andati a venerarla, Teresa parte per il Sud. A San Gioacchino, dietro via Cola di Rienzo, sono venuti a salutarla in molti. Mentre l’urna viene portata fuori, sale improvviso nella chiesa del cuore di Roma un suono acuto, gutturale – come un segnale fra selvaggi, in una foresta. Sono le nere suore di Teresa di Gesù della Tanzania, che salutano la santa al modo del loro Paese. Quaranta ordini femminili nel mondo portano il nome di Teresa di Lisieux. Si parte. Un giovane volontario guida la Multipla, accanto c’è padre Antonio Sangalli, 62 anni, responsabile del centro vocazionale dei Carmelitani italiani, per 15 anni missionario in Africa. È al suo terzo viaggio con Teresa in Italia. L’urna che alle nostre spalle, alle curve, si sposta con un sottile cigolio, gli è familiare come una compagna. Al Casello di Roma Sud, il conducente accende un piccolo navigatore. Si va Caserta, poi a Aversa. Nei suoi ultimi mesi di vita Teresa diceva che, da morta, avrebbe voluto «tornare sulla Terra». «Je voudrais parcourir le monde» («voglio percorrere il mondo»), ripeteva. C’è riuscita. Le reliquie sono state, dal 1994 a oggi, in 55 Paesi. In Alaska e in Australia, in Russia (l’urna portata dagli uomini della Guardia Rossa) e perfino nell’Iraq di Saddam. Ora Teresa è di nuovo in cammino su questa utilitaria, nel crepuscolo del Basso Lazio, mentre sulla corsia opposta si allungano le code dei romani che tornano in città la domenica sera. Fa freddo, e una pioggia fine bagna il parabrezza.
Le cime dell’Appennino sono bianche di neve. Teresa andò a Roma, pellegrina da papa Leone XIII, e poi a Napoli, nel 1887, a 14 anni. Girò in carrozzella per Napoli, stupita e divertita dal chiasso mediterraneo. A Napoli, torna oggi. L’urna raggiungerà la cattedrale in carrozzella. Padre Sangalli racconta. Con Teresa ne capitano, dice, di tutte: «Si direbbe che si diverta». Come quando, nel 2003, l’auto si bloccò in una galleria del Turchino: i camionisti in coda scesero e, saputo delle reliquie, ripararono lì, nel tunnel, il guasto, mentre la gente bloccata, invece di spazientirsi, veniva a sfiorare l’urna con la mano. Come quando, in un paese del Vicentino, il sindaco aveva procurato per la processione una carrozza ottocentesca, ma all’ultimo momento trasse da parte il carmelitano. «Padre – disse imbarazzato – devo dirglielo: quella carrozza, ai suoi tempi, era usata per portare le prostitute alla casa di tolleranza. Che facciamo?». Nessun problema, rispose il sacerdote, serafico.
E nella piazza gremita disse del vecchio mestiere della carrozza, e al mormorio della folla spiegò che non c’era proprio da scandalizzarsi: «Teresa scrisse che, se non l’avessero accettata nel Carmelo, sarebbe entrata in un ordine dedito alla rieducazione delle donne di strada».
La folla in piazza tacque, e capì. «Nessuna colpa, agli occhi di quella ragazzina, era troppo grande per la misericordia di Dio», dice Sangalli. Nella notte, la Fiat entra in Caserta, sfiora la Reggia immensa e buia, si mescola al traffico disordinato della città.
Ignari la sfiorano le moto chiassose dei ragazzini. «A Terni, nella chiesa di San Valentino – racconta ancora Sangalli – quattro anni fa ci venne incontro un uomo con una bambina di otto anni, pallida, calva per la chemioterapia. La bambina spontaneamente si accoccolò accanto all’urna di Teresa. Il padre faticava a non piangere nel guardarla. La figlia allora ha alzato gli occhi: «Ma perché piangi? – gli ha detto sorridendo dall’angolo in cui si era seduta –. Guarda che io ora sono contenta». Non è, Teresa, santa di vistosi miracoli, ma piuttosto di grazie spirituali, di paci interiori segretamente riconquistate.
Molto amata dai sacerdoti, cui dedicò il suo ingresso nel Carmelo, dopo aver scoperto, a 14 anni, «che non sono puri come il cristallo». Non si scandalizzò, decise invece di passare la vita a pregare per loro. È il salto oltre la condanna moralista, nella vertigine della carità, che oltre cent’anni dopo ancora meraviglia, e chiama. «A Roma, all’Ospedale del Bambino Gesù – dice Sangalli – ho visto un vecchio, che si è avvicinato all’urna come volendo dire qualcosa, e non riuscendo a parlare. “È che vorrei poter essere ancora come quando ero bambino”, ha mormorato, e si è messo a piangere». In viaggio con Teresa, in una trama di segrete grazie. Dai principi della Chiesa ai rom di Regina Coeli alla parrocchia della Madonna del Carmine a Caserta, dove alcune centinaia di fedeli l’aspettano infreddoliti nel vento tagliente. Nella notte si prosegue per Aversa. A un semaforo, un mendicante insapona il vetro della Multipla: nulla della modernità, dal navigatore al lavavetri, manca nel viaggio del giovane Dottore della Chiesa. Nelle vie di Aversa ci blocchiamo nella colonna d’auto causata dalla stessa processione che ci aspetta. Coro di clacson, e in fondo alla via le fiaccole dei fedeli in attesa. Sono tanti, più di mille, dietro al parroco della chiesa di Santa Teresa di Lisieux. Le donne recitano il Salve Regina in latino, e non pare un “ritorno”, ma una tradizione di cui qui non si è mai persa la memoria. Recitano l’Ave Maria, e Teresa passa accanto alla Pescheria del Mare, ai bar dove i sedicenni lasciano i videogiochi e si affacciano, stupiti, a guardare.
Teresa di Lisieux? Mai sentito parlare. Qualcuno, curioso, si spinge nella chiesa affollata con il suo giubbotto di finta pelle borchiato da ragazzo di periferia, guarda stupito le mani dei fedeli che si allungano verso l’urna, timide ma decise nel bisogno antico di toccare. «C’è una gran santa qui», dicono le nonne ai bambini. Sulla porta le parole di Benedetto XVI: «Le reliquie dei santi sono traccia di quella presenza invisibile ma reale che illumina le tenebre del mondo».
Teresa è tornata sulla Terra, come aveva desiderato. Fra gli uomini, nell’incrociarsi sconosciuto di mille destini, di notte, in una chiesa del Sud.
Rassegna Stampa
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