Il governo dell’Orissa ammette il pericolo di nuove violenze
A tre mesi dall’inizio delle violenze anticristiane a Kandhmal, il governatore dell’Orissa, Naveen Patnaik, ammette che “non è ancora tornata la calma” in almeno tre delle dodici aree rurali a maggioranza tribale. Per molte settimane egli aveva ribadito che “tutto era sotto controllo”. Questo cambiamento di opinione coincide con una visita ufficiale di tre ministri del governo centrale nella regione.
“Le aree di Raikia, Udaygiri e Tikabali non sono ancora pacificate come dovrebbero”, ha affermato il governatore dell’Orissa. Le sue parole fanno eco a quelle del ministro nazionale delle risorse agricole, Sharad Pawar, che ha parlato di “tensioni” ancora esistenti, nonostante lo sforzo delle autorità per riportare la calma.
Il governatore dell’Orissa Patnaik ribadisce inoltre la necessità di ripristinare l’armonia e agevolare il ritorno a casa dei profughi.
I funzionari governativi denunciano il pericolo di una brusca interruzione delle attività economiche del distretto, i cui terreni sono stati abbandonati dai proprietari per l’insicurezza generale e la paura di nuovi attacchi. Le attività agricole sono interrotte dalla fine di agosto a causa della fuga dei contadini nella foresta; la raccolta deve ancora cominciare e se la situazione non cambia nei prossimi giorni la gran parte dei prodotti andranno perduti.
In occasione della visita dei tre ministri del governo centrale, i leader cristiani dell’Orissa hanno sottoscritto un memorandum nel quale sottolineano le priorità da affrontare. La delegazione, formata dal ministro dell’agricoltura Sharad Pawar, dal ministro per la giustizia sociale, Meria Kumar, e dal ministro per gli affari tribali, P.R. Kyndiah, ha ricevuto un documento nel quale i vescovi e gli attivisti per i diritti umani indicano alcuni punti da affrontare nel prossimo consiglio dei ministri.
I cristiani chiedono che vengano posticipate le elezioni amministrative in alcune municipalità del distretto di Kandhamal; la fine delle violenze, fisiche e verbali, contro la comunità cristiana; la condanna per il bando della festività natalizia, chiesto dai fondamentalisti indù nel corso di una manifestazione. I cristiani chiedono di poter celebrare il Natale senza correre il rischio di subire nuove violenze o essere vittime di attacchi; garantire agli sfollati il ritorno a casa e alla normale attività lavorativa; la creazione di un comitato di pace in ogni quartiere, nel quale sia garantita un’adeguata rappresentatività a ciascun gruppo religioso; l’apertura di uffici temporanei per facilitare il rilascio di documenti di identità; la fine delle conversioni forzate.
Tra i firmatari della petizione consegnata agli esponenti governativi vi sono monsignor Raphael Cheenath, arcivescovo di Cuttack-Bhubaneshwar, Swarupananda Patra, presidente del forum delle minoranze dell’Orissa, e Sajan K. George, presidente del Global council of indian christians.
Intanto, più di centomila persone di religioni differenti hanno preso parte nei giorni scorsi ad una manifestazione in favore della pace organizzata da un gruppo cattolico a Mumbai.
Vescovi cattolici, leader di diverse religioni, tra cui buddisti, indù e musulmani, e gruppi impegnati nella difesa dei diritti umani si sono dati appuntamento per dire basta alle violenze e alle discriminazioni in India e per costruire insieme ponti di amore e di comprensione. Un corteo per la pace durante il quale i numerosi esponenti religiosi hanno manifestato il loro disappunto sull’ondata di violenza iniziata da alcuni mesi nello stato dell’Orissa.
La manifestazione, organizzata dal consiglio cattolico di Mumbai svoltasi a Shivaji Park, è iniziata con una preghiera congiunta ed un messaggio augurale di pace del cardinale Oswald Gracias, arcivescovo di Bombay, letto dal vescovo ausiliare, monsignor Bosco Penha.
“L’India – ha sottolineato il porporato nel suo messaggio – è un grande Paese e non dovrebbe esserci spazio per il terrorismo, la violenza e l’odio. Se il nostro amore sarà verso il prossimo, Dio sarà con noi”.
Il vescovo Penha ha esortato i manifestanti e la popolazione dell’India ad aderire alla “lotta” per trasformare la società, per sconfiggere l’odio e instaurare l’amore, l’unità e la riconciliazione.
Anche monsignor Percival Fernandez, vescovo ausiliare di Bombay, ha spiegato che la propaganda all’odio porta al terrorismo e all’instabilità del Paese ed occorre fermare adesso questa ondata di violenza prima che sia troppo tardi. Dopo aver elencato gli ultimi episodi terroristici avvenuti nel Paese, monsignor Percival ha sottolineato che: “La pace non è solo assenza di guerra, ma è armonia, giustizia e amore. La priorità assoluta che l’India deve affrontare in questo momento è la minaccia dell’armonia tra le varie sette”.
Soddisfazione è stata espressa dai manifestanti e dagli esponenti religiosi che hanno preso al rally per la pace.
Il professor Mehmud-ur Rehman, musulmano, ha osservato che la presenza massiccia dei manifestanti dimostra come l’amore può trionfare sull’odio.
Anche l’esponente sikh, Surján Singh Ahuja ha definito la manifestazione un buon inizio per diffondere il messaggio che la violenza e l’odio non possono trovare posto nella religione.
Tutti insieme, quindi, hanno condannato le violenze settarie, vero e proprio cancro che indebolisce la democrazia del Paese, e hanno ribadito la violenza nei confronti di qualsiasi minoranza deve essere interpretata come una violenza contro l’umanità.
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