Gli occhi sconcertati del mondo se l’India dimentica la lezione di Madre Teresa
La stagione del martirio, sino all’effusione del sangue, per i cristiani del mondo non soltanto perdura ma anche si fa più larga e straziante, fra il diffuso disinteresse internazionale, e un fondato presagio di aggravamento. In India lo Stato dell’Orissa, dove si sono scatenati fanatici indù, si è trasformato in un regno del terrore. Con una violenza e una sistematicità senza precedenti – denuncia la Conferenza episcopale indiana ( Cbci) – si sono recentemente moltiplicati gli attacchi ai cristiani, alle loro case, ai luoghi di culto, alle istituzioni benefiche. Sotto i colpi dei fanatici e, ciò che specialmente allarma, secondo un disegno preordinato, sono morte almeno 26 persone, 50 chiese e cinque conventi sono stati distrutti, oltre quattromila abitazioni sono state assaltate, migliaia di credenti si nascondono bisognosi nella giungla per sfuggire a gruppi armati che ancora circolano indisturbati, nonostante il governo dello Stato e quello nazionale abbiano promesso di rafforzare l’ordine. Invano, almeno sinora, si sono moltiplicati gli appelli all’India perché spezzi ovunque la catena delle violenze: ultimo in ordine di tempo quello lanciato da Nirmala Joshi, la superiora delle Missionarie della carità succeduta alla Beata Teresa di Calcutta, perché si getti via l’arma dell’odio e la si sostituisca con l’amore, in India come nel mondo intero.
In India insomma la situazione di paura continua e colpisce specialmente i cristiani, come ha ricordato ieri alla Radio Vaticana il vicario episcopale per le chiese orientali a Delhi padre George Manimala. Ma il caso indiano non è purtroppo isolato e le persecuzioni dei cristiani si moltiplicano in varie regioni del mondo, dall’Asia al Medio Oriente dall’Africa all’America Latina. Particolarmente dolorosa e inquietante è la situazione della comunità cristiana in Iraq, ieri di nuovo nel mirino dei fondamentalisti islamici. Nella diocesi di Mosul, già tristemente nota tra l’altro per il rapimento conclusosi tragicamente di monsignor Paulo Farj Rahho, negli ultimi tre giorni due altri cristiani sono stati rapiti e uccisi da criminali fanatici, mossi insieme dalla brama del denaro del riscatto e dall’odio a sfondo religioso. La ripresa dei sequestri, degli omicidi, degli assalti feroci a uomini e cose che hanno costretto oltre due terzi dei fedeli a lasciare la diocesi di Mosul ( bagnata dal sangue di almeno 13 martiri!), denuncia l’ulteriore aggravarsi di un terrore anti-cristiano che pure, come in India, i governi regionale e nazionale si erano impegnati a sradicare.
Probabilmente non si può parlare – almeno, non ancora – di una strategia planetaria che punta distintamente alla persecuzione dei cristiani. Tuttavia innegabile che gli episodi di violenza contro i credenti in Cristo stiano crescendo di numero e di tono, e non soltanto, come s’accennato, in India e in Iraq. Come fratelli di fede e fratelli nella stessa umanità abbiamo quindi il dovere di accompagnare con la solidarietà la testimonianza dei cristiani perseguitati, e dare a questa solidarietà la concretezza esigita dalle circostanze. Su questo orizzonte, il primo appuntamento è per venerdì prossimo, 5 settembre (festa della beata Madre Teresa) stando all’appello lanciato dalla Conferenza episcopale italiana, con l’adesione della Diocesi di Roma. La forza della preghiera è indiscutibile, e formidabile. Anche per riuscire a dare un senso alle colpe (magari di semplice omissione) che si addensano su organismi e governi, e al silenzio di capi religiosi (indo musulmani) che, quantomeno agli alti livelli, non hanno finora condannato le violazioni della libertà religiosa, gli oltraggi ai luoghi di culto, gli attentati allo stesso – sacro, irrinunciabile – diritto alla vita e alla fede.
Rassegna Stampa
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