Elementari. Quando tornare indietro non è un delitto
Il dibattito sulle faccende della scuola riguarda tutti. Non è solo vicenda da specialisti, poiché la vita della scuola, come genitori, alunni o anche solo come cittadini ci riguarda tutti.
Inutile scandalizzarsi, stupido spaventarsi quando vediamo scene di degrado giovanile se poi non ci si interessa della scuola. E non solo per criticare, che è lo sport inutile di uomini inutili. Lo stiamo vedendo in fenomeni anche tremendi: la colpa di distrazione sulla scuola dei padri sta ricadendo sui figli.
Anche chi come il sottoscritto non ha titoli particolari per entrare nell’attuale dibattito sul ritorno della figura del maestro unico – o docente prevalente, come suggeriscono alcuni che pure se ne intendono – capisce bene che sotto si agita una questione importante. Si chiama: la questione del riferimento autoritativo.
Ieri il professor Bertagna ricordava su queste colonne da un lato l’impossibilità di riproporre il modello anni ’50 e ’60 del maestro solitario e dall’altro i dati che confermano un abbassamento dell’apprendimento a causa dell’introduzione dei cosiddetti moduli a tre docenti. Chi difende la figura del maestro unico rischia a volte di difendere una specie di autorità intesa come “totem”. Come se per il fatto stesso di essere l’unica presente in classe quella figura potesse offrire ai nostri figli un’autorità certa nella scoperta della vita e nel suo studio.
La posizione di autorità non è garanzia di autorevolezza. Così come la eventuale struttura tripartita o plurale della figura insegnante non è di per sé maggior garanzia di ampiezza.
Però, poiché le idee si devono tradurre in certi casi in organizzazione e modelli, è chiaro che la presenza di un maestro unico o prevalente offre alle famiglie e ai ragazzini un metodo educativo in cui si favorisce il riconoscimento e il confronto con una autorevolezza. Chi non desidera questo modello finisce forse – magari senza volerlo – per confondere l’esperienza dell’autorevolezza e sostituirla con la dialettica. Per i primi il mondo si conosce meglio seguendo i passi di una guida che ti apre, con una sua ipotesi di lettura, l’orizzonte davanti agli occhi, che poi tu valuterai.
Per gli altri l’educazione non è introduzione alla realtà e quindi non serve seguire un’autorità, ma il reale si ottiene grazie alla elaborazione di più punti di vista.
Il problema non è quale sia più affascinante tra queste due visioni: si tratta di capire quale è più naturale, quale favorisce meglio il raggiungimento dello scopo della scuola che è insegnare ed educare.
È dunque normale, fatale, direi pure salutare che la polemica esista e costringa tutti a rendersi conto. I dati sull’apprendimento danno ragione a chi vuole il maestro unico o prevalente. E dunque si vada su questa strada, aiutando il maestro con la possibilità di coordinare la presenza in classe di colleghi esperti su determinati ambiti; la religione, ma anche le lingue… Sperando, anzi facendo di tutto anche in termini di premiazione e stigmatizzazione, perché il maestro sia adeguato al suo mestiere, e ami la libertà e la crescita dei nostri figli. Si faccia tutti quel che è possibile perché i nostri figli incontrino una buona scuola.
Autorevole, cioè formatrice e educatrice di uomini liberi.
Rassegna Stampa
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