Due episodi hanno risollevato il dibattito sulla 194
È ormai tempo di rivedere la legge sull’aborto
Nelle polemiche laiciste non si ricorda mai che l’aborto resta la violenta eliminazione di un essere umano vivente; e che la cultura abortista ha fatto molti passi in direzione di una selezione eugenetica.
Due recenti casi hanno risollevato il dibattito sulla legge 194 relativa all’aborto, in particolare l’aborto definito “selettivo”. Il primo è quello del piccolo Tommaso, al quale la diagnosi prenatale aveva attribuito una malformazione, ma che, all’atto della sua espulsione prematura dal seno materno in un ospedale fiorentino, è risultato sanissimo, in grado di sopravvivere per qualche giorno, dopo di che è morto. Il secondo caso è quello dell’errore commesso in una clinica di Milano, dove l’aborto selettivo fra una coppia di gemelle, una delle quali era affetta dalla sindrome di Down, ha portato all’eliminazione di quella sana.
La 194 ha 30 anni e la sua applicazione rivela ormai due difetti fondamentali: il primo è che gli articoli 6 e 7, che fissano i limiti terapeutici (circa la salute fisica e psichica delle donne) e temporali dell’aborto, sono superati dal progresso scientifico, che fra l’altro ha anticipato di 2-3 settimane di gestazione (non dopo la ventiduesima) la certezza che il feto abbia raggiunto una capacità di vita autonoma; mentre l’aborto selettivo rimane una tecnica comunque rischiosa, soprattutto in caso di gravidanze gemellari. Il secondo difetto è che in pratica le disposizioni secondo le quali le donne in stato di gravidanza devono essere aiutate prima e dopo il parto, per evitare la decisione comunque dolorosa dell’aborto, sono del tutto disattese dall’ente pubblico, mentre ci pensano solo i Centri di aiuto alla vita, di matrice cattolica. Fra chi, come Eugenia Roccella su Avvenire, propone un “tagliando” per la legge 194 per verificare dove sia possibile e giusto correggerla e migliorarla, e chi è contrario per principio, soprattutto “laico”, il ministro della Sanità Livia Turco, pur difendendola, promette un qualche intervento di modifica, con l’aiuto della comunità scientifica.
Le modifiche avverrebbero su tre punti: per stabilire con esattezza quando comincia «l’effettiva possibilità di vita autonoma del feto; per dare indicazioni uniformi ai neonatologi sull’assistenza da garantire al neonato molto pretermine; e per garantire l’appropriatezza delle diagnosi prenatali». Vedremo. Resta il fatto che nelle polemiche di stampo laicista non si ricorda mai che l’aborto resta l’eliminazione violenta di un essere umano vivente; e che la cultura abortista ha fatto nel frattempo nel mondo molti passi in direzione di una vera e propria selezione eugenetica che fa impallidire quella nazista. Con conseguenze negative imprevedibili, ma inevitabili e impressionanti.
Un solo esempio. Per difendersi da una crescita demografica giudicata insostenibile, nel 1979 la Cina comunista decise una misura drastica: le coppie non potevano avere più di un figlio; se non era maschio, potevano tentare una
seconda volta: ma se ne fosse venuta un’altra femmina, andava eliminata prima che nascesse, mediante l’analisi prenatale. Così oggi la stessa Cina, non più sostanzialmente comunista, si accorge che il rapporto fra maschi e femmine nella sua popolazione è di 118 a 100 (la media mondiale non supera i 107) e calcola che nel 2020 (dunque fra pochissimo tempo) i maschi fra i 20 e i 45 anni saranno trenta milioni più delle femmine. Per di più, come è ovvio, il progresso della medicina e delle condizioni di vita fanno sì che la popolazione diventi sempre più vecchia e questo, date le proporzioni umane di quell’immenso Paese, costituirà un problema sociale di enorme rilevanza.
Meno nascite, meno possibilità di formare coppie, più vecchi da assistere. Bella prospettiva. L’Italia non è la Cina, certo. Ma guardarci attorno non ha mai fatto male.
Rassegna Stampa
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