Brasile, così muore un missionario
Aveva ricevuto ripetute minacce, don Luigi Plebani, il missionario bresciano ucciso ieri notte in Brasile, nella diocesi di Ruy Barbosa. A chi gli consigliava di lasciar perdere rispondeva però che non poteva abbandonare i suoi poveri. Negli ultimi tempi aveva dormito a casa di diversi amici proprio in seguito al ripetersi delle intimidazioni.
Lo hanno trovato impiccato con un nastro adesivo sulla bocca. La polizia indaga in tutte le direzioni e sta esaminando anche una lettera che il sacerdote aveva inviato al vescovo di Ruy Barbosa sulla situazione del territorio nel quale operava da anni.
Presente dal 1980 in Brasile, don Plebani aveva operato anche nella comunità di Porfirio, nel comune di Itaipè, stato di Minas Gerais. Proprio lo scorso anno aveva portato la sua testimonianza a Brescia, in una serie di incontri che aveva tenuto in città. “Gli avevano offerto diversi incarichi per trattenerlo qui, ma lui era voluto tornare in Brasile. Era determinato ad aiutare gli altri, a vivere con loro condividendo anche la loro povertà”, sottolinea don Luigi Guerini, parroco a Passirano e Monterotondo e, per dieci anni – fino al 2004 – fidei donum in Brasile. “Il suo stile era quello della povertà e della semplicità. Le volte in cui ci siamo incontrati ho visto che aveva solo due magliette, ne lavava una e metteva l’altra. Ma era una persona estremamente dignitosa e la sua dignità era il suo cuore grande, il dono totale di sé”.
Nato nel 1947 a Rudiano, don Luigi Plebani era stato ordinato sacerdote nel 1973, era poi stato vicario cooperatore a Erbanno fino al 1975 e a San Pancrazio fino al 1979. Particolarmente colpita, oltre la comunità di Rudiano, anche quella di Palazzolo. Per anni, infatti, proprio a Palazzolo, dove don Luigi era stato negli anni Settanta, sono state organizzate diverse serate di beneficenza per raccogliere fondi da destinare in Brasile.
“Per se non aveva voluto nessuna casa”, ha raccontato don Raffaele Donneschi, direttore del Centro missionario diocesano, “ma viveva nelle canoniche delle chiese perché diceva che un sacerdote non può avere una sua abitazione quando il resto della popolazione non ha una casa. Ogni sei mesi, poi, dal conto che mi aveva dato da gestire e dove finivano i suoi risparmi, mi diceva di prelevare dei soldi e di inviarli ai missionari più in difficoltà”.
“Manteniamo la speranza di riunirci un giorno come buoni amici che né la distanza né il tempo possono logorare, a raccontarci le nostre esperienze di poveri vagabondi del Signore”, scriveva don Luigi nell’agosto del 1995 in occasione della morte del suo amico don Riccardo Benedetti, missionario in Venezuela, “adesso sono io che devo mantenere questa speranza, tu sei già con quell’Amico a cui non dovrai raccontare niente perché è per i “vagabondi” come te che ha promesso il Regno dei Cieli”. E concludeva, nella lettera che è girata proprio qualche tempo fa, quasi come un presentimento: “Prega il buon Dio affinché abbia anche per quest’altro povero vagabondo che sono io la stessa pietà che tu adesso starai vivendo nel suo Amore”.
Rassegna Stampa
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