Benedetto XVI “Non siamo mai soli”
C’è una sorta di continuità tra le prime due giornate del mese di novembre: il primo, solennità di tutti i santi e, il due, giorno dedicato alla memoria dei defunti. Una continuità che è comunione nella vita e nella storia della Chiesa: mettere insieme tutti i santi con tutti i defunti è occasione per unire il ricordo di coloro che non ci sono più con quella tensione alla santità che è vocazione di ogni battezzato. E per dire che la morte non è conclusione ma, come scriveva papa Wojtyla nella lettera agli anziani, “un passaggio di vita in vita”. E in questo passaggio possiamo unire i nostri cari a tutti coloro che hanno scelto di dire sì a quel “vieni e seguimi” di Gesù, proposta d’amore del Signore che chiede una risposta d’amore. Lo ricordava qualche domenica fa papa Benedetto nella cerimonia di canonizzazione in piazza San Pietro: i santi sono coloro che hanno accolto l’invito “esigente e si mettono con umile docilità alla sequela di Cristo crocifisso e risorto”. La loro perfezione “consiste nel non mettere più al centro se stessi ma nello scegliere di andare controcorrente vivendo secondo il Vangelo”.
Far memoria di tutti i santi non è un modo per comprenderli tutti in una sorta di numerazione esaustiva, come se ci fosse il rischio di lasciarne qualcuno da parte; ma è occasione per ricordare e affermare il carattere universale della chiamata alla santità. I santi sono esempi “di virtù spirituali e pastorali”. È “bella e consolante” la comunione dei santi, afferma Benedetto XVI all’Angelus; “è una realtà che infonde una dimensione diversa a tutta la nostra vita. Non siamo mai soli. Facciamo parte di una compagnia spirituale in cui regna una profonda solidarietà: il bene di ciascuno va a vantaggio di tutti e, viceversa, la felicità comune si irradia sui singoli. È un mistero che, in qualche misura, possiamo già sperimentare in questo mondo, nella famiglia, nell’amicizia, specialmente nella comunità spirituale della Chiesa”.
È un modo anche per sottolineare che i santi non ci chiedono di compiere ciò che loro hanno fatto e vissuto, anche perché a volte è un qualcosa di unico e di irripetibile; ma con la loro testimonianza ci chiedono di stupirci e di essere grati al Signore per ciò che, attraverso di loro, ha compiuto nella storia della Chiesa e del mondo. Non è un caso, ricorda ancora il Papa, che “ognuno di noi conserva la grata memoria” di qualche figura di santità “che ci ha aiutato a crescere nella fede e ci ha fatto sentire la bontà e la vicinanza di Dio”.
Ma, come dicevamo, c’è un legame tra i primi due giorni del mese di novembre, una continuità tra la santità e la venerazione per coloro che non sono più con noi. È come se scegliessimo di unire tutti in un grande unico ricordo, perché i santi non sono solo coloro che la Chiesa proclama tali. Quanti uomini e donne meritano, o avrebbero meritato di far parte di questa moltitudine “che nessuno poteva contare”, di ogni nazione, popolo e lingua, come ricorda il Papa citando l’Apocalisse di Giovanni.
Il pregare per i defunti ci dice che la morte non interrompe le relazioni, le trasforma; il ricordo continua e forse si rafforza giorno dopo giorno, perché viviamo la certezza che non tutto finisce il venerdì, ma c’è una domenica che è attesa fiduciosa. L’invito di Benedetto XVI è proprio quello di vivere la ricorrenza del due novembre “secondo l’autentico spirito cristiano, cioè nella luce che proviene dal mistero pasquale. Cristo è morto e risorto e ci ha aperto il passaggio alla casa del Padre, il regno della vita e della pace”. Ricorda ancora il Papa: mentre facciamo visita ai cimiteri, “ricordiamoci che lì nelle tombe riposano solo le spoglie mortali dei nostri cari in attesa della resurrezione finale”. Sono già “nelle mani di Dio” e il modo più proprio ed efficace di onorarli “è pregare per loro, offrendo atti di fede, di speranza e di carità”, e sperimentare nell’Eucaristia “la più profonda comunione, in attesa di ritrovarci assieme”.
C’è un terzo tema, in questa prima domenica di novembre, che il Papa affronta nel suo discorso che precede e segue la recita della preghiera mariana dell’Angelus: l’ecumenismo. E lo fa ricordando che, proprio dieci anni fa, cattolici e luterani firmarono ad Augsburg la Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione: un documento che è pietra miliare sulla strada della piena unità tra i cristiani e che attesta “un consenso tra luterani e cattolici su verità fondamentali della dottrina” che ci conducono “al cuore stesso del Vangelo e a questioni essenziali della nostra vita”.
Nel suo discorso il Papa sintetizza il tema della giustificazione: “Da Dio siamo accolti e redenti; la nostra esistenza si iscrive nell’orizzonte della grazia, è guidata da un Dio misericordioso, che perdona il nostro peccato e ci chiama a una nuova vita nella sequela del suo figlio; viviamo della grazia di Dio e siamo chiamati a rispondere al suo dono; tutto questo ci libera dalla paura e ci infonde speranza e coraggio in un mondo pieno di incertezza, inquietudine, sofferenza”.
L’auspicio di Benedetto XVI è che la ricorrenza “contribuisca a far progredire il cammino verso l’unità piena e visibile di tutti i discepoli di Cristo”. Un’affermazione quanto mai importante in un momento in cui la vicenda dei sacerdoti e delle comunità anglicani che desiderano essere accolti da Roma, perché in disaccordo con la Chiesa d’Inghilterra, sta creando incomprensioni sul terreno del dialogo ecumenico. Riproporre con forza la validità di questo incontro tra Chiese e ribadire l’urgenza della piena unità sono un modo per rendere evidente che nessun passo indietro si può compiere sulla strada che il Concilio ha dettato quarantaquattro anni fa.
Rassegna Stampa
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