Avvento
Pochi conoscono questo magnifico romanzo: Il pastore d’Islanda di Gunnar Gunnarson (1889 -1975) è un autentico gioiello scritto 80 anni fa ma tradotto in italiano solo di recente della casa editrice Iperborea. Il titolo originale era Avvento e il perché è presto detto. Ogni anno, la prima domenica di Avvento, l’anziano Benedikt s’ inerpica tra le cime islandesi con il fedele cane Leo’ e il montone Roccia alla ricerca delle pecore mancate all’appello durante i raduni autunnali, destinate a morire nelle imminenti e impietose bufere. È il modo di Benedikt per prepararsi alle feste: esporre la propria vita contro le tempeste più buie e gelide per salvare povere vite di cui nessuno si interessa più. Benedikt,- autentico buon pastore – non scarica la colpa sulle pecore smarrite, semmai si domanda perché i loro proprietari non sentano il pungolo di andarle a cercare: “Dovevano morire di freddo e di fame solo perché nessuno aveva la voglia o il coraggio di cercarle o riportarle a casa”?
Ma Benedikt non perde tempo a fare processi e aiuta tutti, anche quei pastori che si approfittano della sua temerarietà. Il suo modo di dare corpo all’Avvento è avere cura. Di tutti, uomini non meno che animali: “L’Avvento! Sì …Benedikt pronuncio’ con cautela quella parola grande, mite, così esotica e al tempo stesso familiare. Forse, per Benedikt, la più familiare di tutte. Certo, non sapeva di preciso che cosa significasse, ma c’era in ogni caso l’attesa, la speranza, la preparazione- questo lo capiva. Negli anni quella parola era arrivata a racchiudere tutta la sua vita. Perché cos’era la sua vita, la vita degli uomini sulla terra, se non un servizio imperfetto che tuttavia è sostenuto dalla attesa, dalla speranza, dalla preparazione?”.
Il pastore di Islanda conta appena un centinaio di pagine, ma ci fa gustare cosa significhi giungere al Natale come un traguardo, vivendo l’Avvento con intensità, anche come una buona battaglia, secondo il monito evangelico a vegliare e pregare (Luca 21, 34-36) che inaugura questo tempo liturgico. L’inverno islandese che scende sotto i 30 gradi tutto è meno che sentimentale. La neve ricopre ogni cosa o creatura, indifferente. Il panorama muta in un’inospitale distesa di ghiaccio. Ed è a questo che può ridursi l’esistenza, quando rinunciamo a prenderci cura degli altri rifugiandoci in una spiritualità immacolata, ma autoreferenziale. Andare in cerca di chi si è smarrito, in fondo, è il modo migliore per ritrovare noi stessi.
Rassegna Stampa
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