Un dono per la vita
L’ultima occasione di riflessione su una tematica abbastanza controversa, cioè quella dei trapianti di organo, è data dal film Sette anime (in originale Seven Pounds) di Gabriele Muccino. In realtà la trama del film è molto più complessa, al limite dell’assurdo: è la storia di un uomo di successo che smarrisce il senso della vita dopo aver provocato un incidente stradale, in cui sono morte sette persone, tra cui la fidanzata. Un tunnel depressivo dal quale riesce a tirarsi fuori solo con un piano perverso, quanto folle: uccidersi e donare i suoi organi a sette persone. Alla fine riscoprirà il gusto per la vita, proprio innamorandosi della donna alla quale dovrebbe donare il cuore. Al di là di una trama al limite del paradossale e fantasiosa, ispirata ad un fatto reale cioè la vicenda di un impiegato della Nasa che si sentì responsabile dell’esplosione dello Shuttle, in cui morirono sette astronauti, in una intervista a Gabriele Muccino su Famiglia Cristiana trapela comunque l’intenzione dello stesso attraverso questo film di sensibilizzare gli spettatori verso la donazione di organi. Nella stessa intervista Muccino afferma: “Per prepararmi al film ho trascorso tanto tempo in sala operatoria, ho parlato con i chirurghi, ho frequentato pazienti trapiantati. È incredibile quanta gente oggi viva grazie a donazioni di organi. Ho personalmente assistito a un trapianto di cuore: batteva ancora quando è stato estratto dal donatore, ma era grigio e inanimato quando l’hanno ricucito alle arterie del ricevente. Poi, il sangue è entrato e il cuore si è rimesso a battere da solo, senza impulsi elettrici. Ha ripreso colore. Il suo ritmo è divenuto piano piano regolare. Un’esperienza miracolosa, quasi religiosa. Ecco, in quel momento mi è sembrato di vedere in azione la mano di Dio”.
La questione è sicuramente delicata e al di là di una comprensibile intenzione di sensibilizzazione va espressa con molta più chiarezza di come si possa fare attraverso un film dalla trama tra l’altro così drammaticamente fantasiosa. Proprio di recente il Santo Padre Benedetto XVI nel Discorso ai partecipanti al congresso internazionale sul tema “Un dono per la vita. Considerazioni sulla donazione degli organi”, promosso dalla Pontificia Accademia per la vita, ha ribadito e confermato la donazione di organi come una forma di testimonianza della carità: “La donazione di organi è una forma peculiare di testimonianza della carità. In un periodo come il nostro, spesso segnato da diverse forme di egoismo, diventa sempre più urgente comprendere quanto sia determinante per una corretta concezione della vita entrare nella logica della gratuità”.
Certamente il tema della donazione degli organi apre inevitabilmente a delle domande e tira in ballo la questione della morte cerebrale.
È ancora vivo il dibattito a distanza tra le due principali testate giornaliste del mondo cattolico, Avvenire, organo della CEI, e l’Osservatore Romano.
Tutto è iniziato il 3 settembre, quando dalle pagine dell’Osservatore Lucetta Scaraffia, storica e membro del Comitato Nazionale di Bioetica, ha scritto un articolo nel quale, recensendo i due libri “Morte cerebrale e trapianto di organi” di Paolo Becchi e “Finis vitae. Is brain death still life?” di Roberto de Mattei, metteva in dubbio il concetto stesso di morte cerebrale e conseguentemente la liceità della donazione degli organi.
I trapianti, infatti, avvengono in presenza di elettroencefalogramma piatto, ma riescono pienamente solo se cuore e respiro restano attivi grazie ad apparecchi esterni: è uno dei motivi per cui il paziente viene dichiarato un cadavere a cuor battente.
Sebbene l’articolo sull’Osservatore sia in parte discutibile, è indubbio che esso introduca in tutte queste certezze la spina dell’angoscia: parole come cadavere a cuor battente richiamano a immagini che fanno paura e per questo aiutano a pensare su ciò che è lecito fare col corpo dell’uomo.
Ma cos’è la morte cerebrale?
Innanzitutto un chiarimento: la morte cerebrale non è sinonimo di morte, non implica la morte né è pari alla morte, ma “è” morte. Essa indica infatti la cessazione irreversibile di tutte le attività vitali del cervello (degli emisferi cerebrali e del tronco encefalico). Ciò implica una perdita irreversibile della funzione delle cellule cerebrali e la loro totale o quasi totale distruzione.
Il cervello è a tutti gli effetti morto sebbene il funzionamento degli altri organi possa essere mantenuto da mezzi artificiali.
Nella legislazione italiana la materia è regolata dalla Legge 29 dicembre 1993, n. 578 (norme per l’accertamento e la certificazione di morte) e dal Decreto 22 agosto 1994, n. 582 del Ministero della Sanità (regolamento recante le modalità per l’accertamento e la certificazione di morte).
La legge italiana impone che una commissione, riunitasi dopo segnalazione del responsabile di reparto della direzione sanitaria, esamini il paziente per tre volte in un intervallo di tempo prestabilito: sei ore per gli adulti, dodici per i bambini sotto i cinque anni e ventiquattro per i bambini al di sotto di un anno, in considerazione della maggiore resistenza dei neuroni del bambino.
Tale commissione è costituita da un medico legale, o in sua vece un medico di direzione sanitaria o un anatomopatologo, un anestesista-rianimatore, un neurofisiopatologo oppure un neurologo o un neurochirurgo esperti in elettroencefalografia.
Le prove da ripetere per tre volte sono un elettroencefalogramma della durata di 30 minuti, con il paziente libero da effetti farmacologici che influiscano sullo stato di coscienza (in particolare niente barbiturici o benzodiazepine), la prova dei riflessi del tronco dell’encefalo (come ad esempio il riflesso corneale, riflesso oculo-vestibolare, riflesso degli “occhi di bambola”…), il test di apnea con paziente libero da farmaci in grado di deprimere la respirazione (oppioidi o curari).
Se questi esami danno tutti esiti negativi viene dichiarata la morte cerebrale.
Solo a questo punto i dottori possono chiedere ai familiari del paziente se desiderano spiantare gli organi del loro caro.
Ecco che allora la tecnica del trapianto di organi, come sostiene il Santo Padre Benedetto XVI, è “un gesto di totale gratuità da parte dei parenti di pazienti di cui è stata accertata la morte. In questi casi, il consenso informato è condizione previa di libertà, perché il trapianto abbia la caratteristica di un dono e non sia interpretato come un atto coercitivo o di sfruttamento”.
Entrando ulteriormente nella delicata questione il Papa nello stesso discorso ha sottolineato che “il problema della disponibilità di organi vitali da trapianto, purtroppo, non è teorico, ma drammaticamente pratico; esso è verificabile nella lunga lista d’attesa di tanti malati le cui uniche possibilità di sopravvivenza sono legate alle esigue offerte che non corrispondono ai bisogni oggettivi” .
Chissà quanta sofferenza, quanto dolore si prova. Nessuno oserebbe puntare il dito contro chi, di fronte allo strazio per l’improvvisa perdita di una persona cara, proprio nel più drammatico frangente di una dipartita violenta ed “inattesa”, si chiude nel proprio lutto.
Eppure anche in queste circostanze si può ancora dire sì alla vita. Fosse con un soffio di voce, questa affermazione può donare speranza ad una, forse due o più persone le cui vite sono appese ad un filo e che aspettano di ricevere una possibilità. Così che anche dalla più apparentemente “ingiusta” delle morti può continuare a trionfare la vita nella vita di altri uomini e donne. E magari può emergere la possibilità di soffermarsi anche solo un secondo davanti a quel Mistero che da duemila anni continua inscindibilmente a legare morte e vita. Il sangue versato da Gesù sulla croce ha donato e dona speranza e salvezza al mondo intero. Così anche noi, in vita e se possibile oltre la vita, siamo chiamati a partecipare di questo inaudito Amore, fino al più gratuito ed anonimo dono di una parte di sé perché un altro, anche sconosciuto, possa vivere.
Se è vero che il momento della morte rimane un momento avvolto nel Mistero, è altrettanto indispensabile che la scienza metta a disposizione tutte le conoscenze perché la tecnica dei trapianti di organo avvenga nella totale liceità e rispetto della vita del “donatore” fino al suo ultimo istante. E al di là delle proprie convinzioni e delle polemiche, non si può non sottolineare come questo gesto sia un atto di vero amore, che vince la morte, che va oltre la morte, una manifestazione luminosa di gratuità, “la partecipazione al mistero della Croce, nella quale Gesù svela quanto valore abbia per lui la vita di un uomo e come questa si realizzi in pienezza nel dono sincero di sé”. – Senza mai dimenticare che – “Al di là dei fatti clamorosi, c’è l’eroismo del quotidiano, fatto di grandi o piccoli gesti di condivisione che alimentano un’autentica cultura della vita” (Giovanni Paolo II, Evangelium Vitae).