Stragi stradali e guerriglie urbane: il perdono il primo mattone per la ricostruzione
Ha sconvolto tutti quanto è accaduto lo scorso 24 aprile ad Appignano. Quattro ragazzi, Eleonora Allevi di 18 anni, Danilo Traini di 16, Alex Lucani e Davide Corradetti entrambi di15 anni, sono stati travolti e uccisi da un furgone guidato da un ragazzo ubriaco appena ventiduenne che è stato arrestato.
Un dolore che si aggiunge a quello provato per i 33 ragazzi uccisi nella strage del Virginia Tech.
Storie spezzate di ragazzi che lasciano senza parole e dove il dolore rischia di diventare terreno fertile per l’odio e la vendetta. Una vendetta che, purtroppo, ha cercato di farsi giustizia da sé anche nel piccolo paese di provincia: la sera stessa dei funerali è stato appiccato un fuoco nel campo nomadi a cui appartiene il giovane arrestato.
In queste circostanze sembra non essere mai adeguati. Umanamente si è incapaci di trovare e dare conforto e speranza. Lo continua a fare, per nostra fortuna, la Chiesa. Il giorno dei funerali il vescovo di Ascoli Piceno, Mons. Silvano Montevecchi, commosso di fronte alle 4 bare dei ragazzi, ha richiamato a quell’esperienza realmente corrispondente e conveniente alla natura del cuore dell’uomo, ovvero l’esperienza del perdono. “Anche in questi momenti bisogna avere la capacità del perdono” ha detto il vescovo.
Non è una pillola di bontà, non è un cristianesimo sciocco e perbenista. Lo dimostra il fatto che nel realismo della vicenda, che ci richiama a tante altre nostre realtà locali di difficile convivenza con Rom e extra-comunitari, nonché a guerriglie di zone franche come è accaduto per il quartiere cinese di Milano, Mons. Montevecchi ricorda che “La buona convivenza esige l’osservazione della legge, l’accettazione leale delle leggi del territorio dove si va a vivere, perché ogni negligenza può essere supporto di qualche sofferenza”. Chiaro, anche se sottile, il richiamo a che le istituzioni politiche affrontino un problema da tempo rimandato. Il rispetto delle leggi non fa venire meno l’accoglienza di altre popolazioni, ma ne garantisce senza ombra di dubbio la totale e corretta integrazione sociale.
Il perdono, così, non è una via di fuga dalle responsabilità, un modo per dimenticare, ma è la possibilità di guardare alla vita per ciò che è: un cammino verso l’Infinito. Nessun uomo può guarire ferite tanto profonde, ma solo Gesù Cristo, nella certezza di ottenere la promessa della vita eterna, ci può dare il coraggio di guardare avanti, per poter costruire una civiltà migliore. Sì! Dicendo anche “Io ti perdono!”.