Sakineh finalmente libera! No è solo un gioco sporco delle autorità iraniane
Da mesi ormai la stampa internazionale ci racconta la triste storia di Sakineh Mohammadi-Ashtiani, 43 anni, di Tabriz, nel nord-ovest dell’Iran, che è stata condannata nel 2006 alla lapidazione per adulterio, con sentenza poi sospesa nel luglio scorso per l’intervento di organizzazione mondiali a difesa della vita, e che è in attesa di sentenza in un processo per l’uccisione del marito, in cui rischia la condanna all’impiccagione. A ciò si è aggiunto che anche il figlio Sajjad Ghaderzadeh è stato arrestato il 10 ottobre scorso con l’avvocato della donna, Javid Hutan-Kian, mentre veniva intervistato da due giornalisti tedeschi del Bild am Sonntag, finiti anche loro in carcere, dove si trovano tutt’ora.
Giovedì 9 dicembre si era, però, diffusa la notizia della liberazione della donna su annuncio del Comitato internazionale contro la lapidazione, con sede in Germania. Il rappresentante del Comitato in Italia aveva detto che Sakineh e suo figlio Sajjad erano stati visti nel cortile della loro casa di Oskou, nel nord-ovest dell’Iran. La televisione PressTv aveva effettivamente diffuso fotografie di Sakineh e del figlio nella casa.
Quando già molti esultavano per la giusta e tanto sperata liberazione di questa donna, è stato lo stesso Comitato a far sapere il giorno dopo che si trattava purtroppo di una falsa notizia, diffusa dalle autorità iraniane per ingraziarsi le potenze internazionali nei colloqui sul programma nucleare.
E’ stata la rete televisiva PressTv a precisare che le foto pubblicate in precedenza erano solo una sorta di “fotografie di scena” per il lancio di un documentario e che la donna è stata portata nella sua abitazione solo per realizzare, appunto, una ricostruzione video dell’omicidio sulla scena del delitto. In particolare Sakineh Mohammadi-Ashtiani è stata mostrata in un programma della suddetta televisione iraniana mentre, in casa sua, confessa di aver preso parte all’uccisione del marito, ripetendo le azioni che dice di aver fatto, sullo stesso luogo del delitto. Nel programma sono comparsi anche il figlio di Sakineh, Sajjad Ghaderzadeh, e l’avvocato, Javid Hutan-Kian.
Il documentario, ha detto l’emittente, è stato realizzato grazie alla collaborazione della magistratura, che ha disposto il trasferimento della donna nella casa solo per realizzare il programma. Successivamente è stata riportata in carcere.
Non è mancato chi ha dichiarato anche che quella donna nel video non fosse Sakineh, ma una mera sosia, utilizzata per giustificare l’intenzione di dare esecuzione alla sentenza di morte; difatti nel video parla stranamente un ottimo persiano, mentre in analoghi programmi realizzati in passato si esprimeva in lingua azera – parlata a Tabriz, dove vive – con sottotitoli in persiano.
La donna afferma di avere preso parte all’uccisione del marito, Ebrahim Ghaderzadeh, nel settembre 2005 in collaborazione con un suo amante, che a suo dire aveva organizzato il piano. Fingendo di voler praticare un’iniezione di un farmaco anti-influenzale al marito, dice Sakineh, gli iniettò in realtà un sonnifero. Successivamente il suo amante entrò in casa e uccise il marito della donna con sette scariche di corrente elettrica. Il figlio di Sakineh dice di avere accettato di incontrare i due giornalisti tedeschi su insistenza di Mina Ahadi, presidente del Comitato internazionale contro la lapidazione, che nel programma viene descritta come una ex appartenente ad un gruppo «terrorista» curdo, il Komeleh.
La donna quindi ha fatto ritorno solo temporaneamente a casa, sotto sorveglianza, per dar vita ad una nuova iniziativa mediatica che servirà a ribadire la sua colpevolezza.
Taher Djafarizad, attivista del Comitato, ritiene invece che Sakineh era stata condotta fuori dal carcere per essere liberata (tanto che alcuni quotidiani vicini al regime avevano dato notizia della liberazione) ma ha affermato che «il regime ha usato il rilascio» solo per dare un segno di buona volontà mentre erano in corso a Ginevra i negoziati sul nucleare con le grandi potenze riunite.
La presidente del Comitato, Mina Ahadi, ha interpretato invece le nuove, previste confessioni di Sakineh in televisione come una manovra di «propaganda» per preparare la sua «esecuzione».
E’ intervenuto anche il ministro degli Esteri Franco Frattini dopo la smentita di Teheran, dicendo: “Vogliamo vedere Sakineh libera. Ovviamente siamo fortemente delusi da questo annuncio fatto dai diretti interessati, ma devo dire che conoscendo l’Iran, non mi stupisco”. Per Frattini, la presunta liberazione di Sakineh “è stata una macchinazione gravissima”.
Ovviamente le autorità iraniane si giustificano, sembrando le vittime della situazione, dicendo che la stampa straniera, in particolare occidentale, ha bisogno di aggiungere benzina alle sue motivazioni politiche e quindi torna a parlare di questo caso con una vasta campagna di propaganda a sostegno dell’ “assassina” Sakineh Mohammadi-Ashtiani.
Certo ci domandiamo come possa un’istituzione che si definisce autorità giudiziaria, che deve quindi dispensare giustizia, concordare con una rete televisiva, vicina al regime condannista, una messa in scena per produrre una ricostruzione video dell’omicidio; le organizzazioni internazionali hanno chiesto all’Iran di svolgere un giusto processo, di ascoltare veri testimoni, insomma di permettere all’imputata di esercitare i suoi sacrosanti diritti di difesa, prima di dare esecuzione ad una sentenza di morte solo sulla base di illazioni e maldicenze.
Perché Sakineh, che sin dall’inizio ha sempre gridato la sua innocenza, all’improvviso decide di confessare in casa sua, davanti alle telecamere ed in presenza del figlio, anche lui in carcere?
Come minimo ci vediamo un’aberrante costrizione psicologica, sempre che quella donna sia veramente Sakineh!
E poi il rilascio richiesto da tutto il mondo è perché ogni Stato operi rispettando la salvaguardia dei diritti dell’uomo in ogni ambito, specie quello giudiziario dove ci decide in maniera definitiva sulla vita di un individuo, colpevole o non.
Continuiamo allora a chiedere che Sakineh, suo figlio, il suo avvocato siano liberati, non essendo garantito per loro un processo giusto!