Quelle sette croci…
Il sangue dei cristiani nel mondo continua a scorrere e la situazione non accenna a migliorare.
Persiste ad essere grave la situazione in Medio Oriente.
In Pakistan è in atto ormai da tempo un tentativo di creare uno “Stato islamico”, in cui si vuole negare il principio “dell’uguaglianza fra i cittadini” sancito nel 1947 da Ali Jinnah, padre fondatore della nazione, durante il discorso all’Assemblea nazionale. Esempio di questo clima è la legge sulla blasfemia, una norma poco conosciuta ma che miete molte vittime: quasi 1000 le persone incriminate, centinaia i morti. Ecco di cosa si tratta.
La Sezione 295 B e C del Codice penale pakistano punisce con l’ergastolo o la pena di morte chi profana il Corano e diffama il profeta Maometto. Introdotta nel 1986 dal dittatore Zia-ul-Haq per farsi apprezzare dall’ala fondamentalista del Paese, è diventata strumento di persecuzione. Dal 2001 a oggi, almeno 50 cristiani sono stati uccisi utilizzando come pretesto la legge sulla blasfemia. A questi si aggiungono quelli delle altre minoranze religiose del Paese, oggetto di violenze da parte di estremisti musulmani che, in alcuni casi, finiscono per colpire anche i fedeli dell’islam
A migliaia chilometri di distanza, nell’agosto di questo anno, viene commesso un massacro di cui si è venuti a conoscenza solo a novembre.
È il 13 agosto 2009. In Sudan sette fratelli cristiani, sette ragazzi, dai quindici ai vent’anni, sono in chiesa a pregare. Un gruppo di uomini irrompe nella chiesa di Nostra Signora della Pace nella città di Ezo: sono i boia della Lord’s Resistance Army (Lra) – un gruppo di seguaci di Allah, affiliati ad Osama. Prende i giovani, li strappa alla famiglia e li condanna a morte per proselitismo. Potrebbe sembrare una delle tante notizie che denuncia la morte di altri cristiani, notizie che scorrono silenziose tra l’indifferenza generale. Eppure in questo caso è successo qualcosa di diverso: i sette giovani sono stati crocifissi, come bestie, sugli alberi. Sì, i loro aguzzini hanno messo su una macabra parodia della crocifissione!
Il Sudan è lo stato più grande dell’Africa con i suoi 29 milioni di abitanti. Lo Stato è stato creato a tavolino ed è come diviso in due parti: il nord è arabo e musulmano, il Sud è nero, cristiano e animista. Lì si sta combattendo una lunga guerra sanguinosa e la crocifissione è ufficialmente la pena per chi si converte al cristianesimo, fa parte del normale ordinamento giuridico. I dolori del condannato sono atroci: per crocifiggere i chiodi vanno piantati nel polso, altrimenti il peso del corpo è tale che le mani vengono aperte in due e il corpo cade. Facendo forza sui piedi e sui polsi trafitti, quindi a costo di un dolore indicibile che deve infliggersi da solo, il condannato riesce a tirarsi su abbastanza da respirare, poi inizia a perdere liquidi. Suda fino a tre litri, quindi la morte sopravviene per disidratazione e acidosi metabolica.
Questo è il Sudan, queste sono le pene inflitte, ma nessuno sembra accorgersene!
Come ha ricordato nella prolusione il cardinale Bagnasco, commentando la notizia giunta nell’aula del Sinodo per l’Africa: “davvero anche il nostro è tempo di martiri, per quanto ai popoli della libertà talora sprecata possa sembrare incredibile, e quasi impossibile. Nel suo Messaggio per la recente Giornata Missionaria mondiale, Benedetto XVI spiegava: «La Chiesa si pone sulla stessa via e subisce la stessa sorte di Cristo, perché non agisce in base ad una logica umana o contando sulle ragioni della forza, ma seguendo la via della Croce e facendosi, in obbedienza filiale al Padre, testimone e compagna di viaggio di questa umanità». Ed è per questo motivo che, guardando negli occhi quanti incontra sul proprio cammino, la Chiesa sa di non agire «per estendere il suo potere o affermare il suo dominio, ma per portare a tutti Cristo, salvezza del mondo. Noi – aggiungeva – non chiediamo altro che metterci al servizio dell’umanità, specialmente di quella più sofferente ed emarginata»”.
Sempre certi che il Signore ha già accolto le loro anime tra le Sue braccia, continuiamo a pregare per queste sette giovani vittime e per quanti ogni giorno muoiono per Cristo.