Padre a 13 anni
Ha il volto dei nostri bimbi Alfie Patten. Ma Alfie Patten a 13 anni è già padre di una bimba. Nelle foto sui media che stanno facendo il giro del mondo, lui e la sua ragazza Chantelle, di 15 anni, entrambi inglesi, hanno in braccio la loro piccola Maisie. Fanno una tenerezza incredibile: due “bimbi” che hanno in braccio una bimba. E’ impossibile non preoccuparsi per loro nel guardarli, non solo perché vivono una situazione economicamente disagiata; non solo per la difficoltà di crescere un figlio per loro sicuramente centuplicata in quanto piccoli, bimbi anch’essi…
I servizi sociali di Londra si sono immediatamente prodigati con sussidi economici alla loro “genitorialità”, normalizzando tutto, senza porsi minimamente delle domande ovvie: come mai molti adolescenti in Inghilterra diventano genitori o, ancor peggio, come mai l’Inghilterra ha il più alto tasso di aborti in età adolescenziale? La vicenda ha sollevato grandi critiche anche da parte di esponenti di istituzioni inglesi, come Iain Duncan Smith, direttore del centro studi Centre for Social Justice che commenta: “Questo – dice – è un tragico esempio del declino sociale di questo paese. Troppe famiglie problematiche hanno bambini che crescono in un ambiente dove tutto è consentito. Stiamo assistendo al collasso completo di alcune parti della società” . “Nulla di personale›”, ha aggiunto, “ma è il segno del collasso completo di alcuni settori della società, dove si è perso il senso di quel che è giusto o sbagliato”.
Quello che sgomenta non è la nascita di questa figlia, che invece è un dono grande che questi bimbi hanno già ricevuto e fortunatamente accolto; Alfie e Chantelle non sono genitori da “guinness” da fotografare, intervistare, sostenere economicamente e basta. Dietro alla loro vicenda evidentemente c’è un dramma che deve far domandare: essi sono l’emblema di una generazione sola, abbandonata, senza speranza. Abbandonati anzitutto dalle proprie famiglie, dall’intera società per cui tutto va bene, tutto è giusto, a cui pare normale lasciare i propri figli soli, in preda dell’istinto, della noia ed, infine, dello sfogo.
Di fronte a vicende simili più volte la Chiesa ha evidenziato come si sta sempre più incardinando una cultura nichilista e relativista che, di fatto, sta abbandonando i suoi figli. Per questo la questione educativa si pone con urgenza, e ci sostiene nel giudizio la Lettera di Benedetto XVI alla Diocesi di Roma del gennaio 2008 da cui abbiamo tratto un brano:
“Dobbiamo dunque dare la colpa agli adulti di oggi, che non sarebbero più capaci di educare? E’ forte certamente, sia tra i genitori che tra gli insegnanti e in genere tra gli educatori, la tentazione di rinunciare, e ancor prima il rischio di non comprendere nemmeno quale sia il loro ruolo, o meglio la missione ad essi affidata. In realtà, sono in questione non soltanto le responsabilità personali degli adulti o dei giovani, che pur esistono e non devono essere nascoste, ma anche un’atmosfera diffusa, una mentalità e una forma di cultura che portano a dubitare del valore della persona umana, del significato stesso della verità e del bene, in ultima analisi della bontà della vita. Diventa difficile, allora, trasmettere da una generazione all’altra qualcosa di valido e di certo, regole di comportamento, obiettivi credibili intorno ai quali costruire la propria vita…. Vorrei infine proporvi un pensiero che ho sviluppato nella recente Lettera enciclica “Spe salvi” sulla speranza cristiana: anima dell’educazione, come dell’intera vita, può essere solo una speranza affidabile. Oggi la nostra speranza è insidiata da molte parti e rischiamo di ridiventare anche noi, come gli antichi pagani, uomini “senza speranza e senza Dio in questo mondo”, come scriveva l’apostolo Paolo ai cristiani di Efeso (Ef 2,12). Proprio da qui nasce la difficoltà forse più profonda per una vera opera educativa: alla radice della crisi dell’educazione c’è infatti una crisi di fiducia nella vita.
Non posso dunque terminare questa lettera senza un caldo invito a porre in Dio la nostra speranza. Solo Lui è la speranza che resiste a tutte le delusioni; solo il suo amore non può essere distrutto dalla morte; solo la sua giustizia e la sua misericordia possono risanare le ingiustizie e ricompensare le sofferenze subite. La speranza che si rivolge a Dio non è mai speranza solo per me, è sempre anche speranza per gli altri: non ci isola, ma ci rende solidali nel bene, ci stimola ad educarci reciprocamente alla verità e all’amore.”