Nel dubbio non si condanna!
La vicenda di Annamaria Franzoni è la più agghiacciante che ci sia stato dato di conoscere e seguire negli ultimi anni. Agghiacciante non solo perché la vittima è un bambino, Samuele, di appena tre anni, ma anche per il riscontro e l’uso che i media hanno fatto del caso sfamando le ingorde gole di un pubblico curioso. Dopo la sentenza di primo grado che condannava la madre di Samuele a 30 anni, il 27 aprile il verdetto della sentenza in appello: “la Franzoni è colpevole, ma solo un pò”, come ha ribadito Vittorio Feltri nel suo articolo su ***LC***Libero***LC***, per cui tra varie attenuanti la condanna scende a 16 anni. Non ci interessa ne ci compete dare un giudizio dal punto di vista giuridico, ma una cosa ci colpisce di questo interminabile ed estenuante processo. La prova che ha portato alla condanna è la cieca certezza del dubbio!
Perdonate il giro di parole, ma i fatti sono questi. L’accusa non ha potuto portare alcuna prova certa: non c’è l’arma del delitto – solo una serie di oggetti che sono stati ipotizzati tali -, non ci sono testimoni, non c’è l’assassino, non c’è una sola confessione della Franzoni, unica imputata nella vicenda, in cui si sia dichiarata colpevole o si sia appellata all’infermità mentale. Le stesse perizie mediche la dichiarano “sana”. Dunque non c’è una sola prova che porti ad identificare l’assassino, ma solo una serie di congetture su ciò che potrebbe essere accaduto e che, a quanto pare, sembrano invece essere la prova schiacciante per la magistratura.
Non spetta a noi dichiarare la signora Franzoni colpevole o innocente. Le parole su quanto è accaduto vanno usate con parsimonia. Il rispetto per chi sta vivendo questa circostanza è per noi doveroso. Eppure dovrebbe essere alla base di qualsiasi “apprendista giudice” sapere che: nel dubbio non si condanna!
Di questo siamo certi: non si può condannare qualcuno sulla base di congetture, di ipotesi e dubbi. Se questo diventasse il metro di giudizio della nostra giustizia dove sarebbe l’oggettività di una sentenza? Troppi interessi in gioco in un processo così esposto a livello mediatico. Troppe figure interessate nel lavoro svolto. In fondo dichiarare Annamaria Franzoni innocente potrebbe mettere in dubbio – quello sì! – il lavoro stesso delle indagini di questi anni, allora nel dubbio… condanniamola!… ma solo un po’… perché la coscienza non sia troppo sporca, ma anche perché un atroce delitto come questo non rimanga impunito.
Terrorizza quanto è accaduto nella villetta di Cogne, soprattutto per il mistero in cui è immersa la vicenda, ma terrorizza di più la ferocia con cui si è entrati in questa storia dove, non lo dimentichiamo, sono coinvolte vite umane e non personaggi dell’ultimo giallo uscito in edicola. Siamo pronti a batterci per evitare che assassini veri non vengano mai più condannati a morte. Giustissimo! Ma per una “forse colpevole” siamo autorizzati a condannare. Cosa cambia se vieni condannato a morte o passi 16 anni in carcere da innocente? L’innocenza di una persona resta tale fin quando non ci siano prove certe che testimonino il contrario. Credevamo che almeno questo la legge dovesse garantirlo. Posso capire che ammettere 5 anni di investigazioni vane possa essere difficile, una dura autocritica. Ma non è decisamente orribile pensare di poter essere condannati sulla prova del dubbio?