Lourdes
Dall’11 febbraio scorso è uscito nelle sale cinematografiche italiane il film “Lourdes” della regista Jessica Hausner.
Il film racconta la storia di Christine, una giovane affetta da sclerosi multipla e immobilizzata da anni su una sedia a rotelle che decide ad un certo punto della sua vita di recarsi in pellegrinaggio a Lourdes. Lei ed altri ammalati giungono così al santuario e durante una delle notti Christine solleva la schiena dal letto, si alza e va in bagno con le sue gambe sotto lo sguardo attonito della sua compagna di stanza, un’anziana signora. Al mattino la notizia del miracolo è già sulla bocca di tutti. Tra le invidie degli altri ammalati, felicitazioni, scetticismi e riconoscimenti medici, Christine per la prima volta nella sua vita assapora il gusto di essere protagonista, di essere al centro dell’attenzione di tutti, compresa quella di un uomo. La felicità per Christine alla fine sarà veramente solo questo…
Nonostante questo film abbia riscosso un grande successo di critica all’ultimo Festival di Venezia, non può essere di certo considerato un film cattolico né di senso religioso tanto meno un documentario sul luogo che è Lourdes e sui miracoli. E questo è stato ampiamente riconosciuto da molti giornalisti. Alcuni critici a torto lo hanno considerato invece un vero e proprio “miracolo” perché metterebbe d’accordo sia atei che cattolici.
Il film è stato considerato molto bello da un punto di vista tecnico e di narrazione ma non ci troviamo di fronte ad un film oggettivo su uno dei più grandi luoghi di fede mondiale bensì di fronte al racconto di un viaggio a Lourdes di un gruppo di persone e di una guarigione che alla fine invece sembrerebbe non essere più tale. Un film per raccontare le emozioni di una ragazza che viene guarita sì, ma non si sa da chi e per quanto tempo. E allora che miracolo è? Tutto intorno la cornice della Basilica e della Grotta di Lourdes; ma tutte le vicende umane che si intrecciano, a partire da quella del miracolo, sono distanti dal cuore e dalla ragione di quel santuario che è l’apparizione della Vergine Maria. È come se si guardasse il tutto da una vetrina. Non trapela per nulla l’esperienza che ciascun pellegrino inevitabilmente fa a Lourdes che è quella dell’incontro con un luogo toccato costantemente dalla Grazia. Nel film tutto questo non c’è. Tutto è profondamente ridotto.
Ed allora concordiamo con la critica del giornalista di Avvenire Francesco Bolzoni che dice del film:“si ha la sensazione di essere davanti a una bella occasione sprecata”, vale a dire un’occasione perduta per raccontare la verità di un luogo che da oltre centocinquanta anni attrae milioni di uomini di ogni Paese, razza e condizione attorno al miracolo accaduto ad una bambina, Bernardette Soubirous, che a 13 anni non ebbe timore di dire al mondo Chi aveva incontrato, Che cosa aveva visto: Maria la Madre di Gesù.
Chi è andato a Lourdes anche solo per una volta, non può minimamente riconoscerla nel film, nelle atmosfere scure e lugubri, soprattutto nell’assoluta trascuranza dei fatti che a Lourdes sono accaduti e continuano ad accadere. Anche la potenza del miracolo nel film viene annientata (del resto non potrebbe essere altrimenti): non si capisce chi l’abbia operato e, alla fine, trapela che lo stesso è, invece, solo un miglioramento fisico.
Ha scritto Vittorio Messori sul Corriere della sera il 12 febbraio scorso:
«La prospettiva di Jessica Hausner nel suo Lourdes è dichiarata subito, sin dalla scena iniziale, coll’inquadratura dall’ alto della sala da pranzo per i pellegrini. Nessuna finestra, ma una luce artificiale fioca, su un ambiente claustrofobico: nero il pavimento, nere le pareti cui sono appesi crocifissi neri, nere le gonne e i pantaloni del personale, neri i mantelli delle hospitalières con la croce di Malta, nere le divise dei Cavalieri dell’ Ordine, neri i clergyman dei preti. A quei tavoli funerei prende posto, in silenzio, una turba da corte dei miracoli di nani, paralitici, cancerosi, assistiti da volontari tanto formalmente educati quanto distratti o perplessi (“che ci faccio, qui ?”), vivi solo nello scambio di sguardi tra ragazze col velo e giovanotti col basco. Poca, pochissima luce in tutto il film, la cui cifra cromatica è il plumbeo: nuvole nere nel cielo persino nelle pochissime scene all’ aperto. Anche la benedizione eucaristica del pomeriggio – l’ appuntamento quotidiano più amato dai pellegrini, assieme alla processione notturna con le fiaccole – non è girata, come è nel vero, sulla grande, luminosa Esplanade che fronteggia i tre santuari sovrapposti. No, la Hausner ha scelto di ambientarla nell’ enorme chiesa sotterranea, dove non penetra alcuna luce. Poca luce pure per la lugubre festicciola finale. E buia, ovviamente, la scena topica della guarigione – miracolosa o casuale che sia – della tetraplegica venuta a Lourdes non per fede, ma per sfuggire dalla casa dove il male la imprigiona».
Di fatto dunque trapela il profondo “ateismo” della regista che la stessa non ha mai nascosto anzi ha sempre dichiarato apertamente. Continua nello stesso articolo Messori:
«In effetti, a una prima lettura il film della regista austriaca (la solita ex cattolica: l’ Occidente ne è ormai pieno) pare accattivante per i devoti. Non c’ è nulla dell’ anticlericalismo di un Emile Zola che si intrufolò, da anonimo, nel Pellegrinaggio Nazionale francese e ne trasse il suo fazioso romanzo, dove tutto inizia, per lui, da “une paure idiote”, da una piccola isterica chiamata Bernadette. Nulla, qui, delle invettive delle Logge ottocentesche, che chiedevano la chiusura manu militari di Lourdes “per abuso della credulità pubblica”, nonché per “ragioni igieniche”. Il vecchio mangiapretismo vociferante ha fatto posto, nella Hausner, a un ateismo radicale, ma politically correct. E una simile negazione della fede – durissima nei contenuti, ma molto soft nei modi – può avere depistato i clericali entusiasti. L’ ateismo, peraltro onestamente dichiarato nelle interviste, non sta tanto nella barzelletta del capo dei Cavalieri hospitaliers (la Madonna che vuole andare a Lourdes, perché non vi è mai stata), battuta un po’ blasfema che svela l’ incredulità di quei volontari. Non sta tanto nei dubbi dei pellegrini, nel loro spiarsi invidiosi, ciascuno temendo che il vicino di stanza sia guarito e lui no. E non sta neppure in quei cappellani che, alle domande dei malati, replicano con slogan, quasi fossero distributori automatici di risposte apologetiche. No, l’ ateismo radicale del film sta nell’ annuncio che il Cristianesimo è morto, perché proprio la cartina di tornasole di Lourdes rivela che sono morte le tre virtù teologali che lo sorreggevano: morta la Fede, morta la Speranza, morta anche la Carità, malgrado le apparenze di chi, come i volontari, sembra esercitarla. Ma per amore di sé, non dei bisognosi. Per sfuggire alla noia, per trovare un senso o un marito, più che per aiutare il prossimo. Papa Giovanni definì Lourdes, che molto amava, “una finestra che si è spalancata all’ improvviso, mostrandoci il Cielo”. La Hausner, quella finestra la chiude: da qui, la mancanza di luce, il senso di oppressione, la claustrofobia, il nero che segnano tutta la sua pellicola. Quel Cielo di Roncalli è ormai sbarrato, uccidendo la Speranza. L’ esplosione gioiosa dell’ alba della Risurrezione è rimossa a favore di una routine devozionale grigia, noiosa, segretamente ipocrita».
Proprio di Emile Zola si è riparlato in questi giorni in occasione delle varie discussioni conseguenti al film Lourdes. Perché lo scrittore nel 1892 si recò di persona a Lourdes deciso a smascherare come lui stesso la definiva “l’ impostura dei preti”. “Non sono credente, non credo ai miracoli. Ma credo al bisogno del miracolo per l’uomo” affermava. E non si volle arrendere nemmeno di fronte al fatto che fu testimone oculare della guarigione di due donne gravemente malate. Anzi lo negò fino alla fine negando la realtà e tentando di comprare il silenzio di una delle due donne miracolate che cominciò a replicare sui giornali alle menzogne scritte nel romanzo (Da Zola a Internet l’ eterno duello su Lourdes).
Eppure in ben altri termini Zola continua ad essere citato oggi. Riferisce Antonio Socci in un articolo di Libero del 19 febbraio:
«È una storia emblematica. La cultura laica moderna lancia la “sfida”, ma poi non ha la lealtà di verificare la risposta, cioè i fatti. Naturalmente quel libro di Zola ebbe un gran successo ed è stato ristampato in Italia anche di recente. “Zola (…) conoscerà un rinnovato successo presso il pubblico della Francia laica, rappresentando Lourdes come la capitale di una gigantesca intossicazione collettiva”, ha scritto domenica scorsa Sergio Luzzatto, sull’inserto culturale del Sole 24 ore. Il suo articolo era addirittura la copertina. A tutta pagina campeggiava sotto il titolo “Miracoli di fede e scienza”. Questo lungo pezzo di Luzzatto si dilungava proprio a riferire il viaggio a Lourdes di Zola e il successo del suo libro. Ma purtroppo non vi si accennava minimamente al retroscena suddetto, che poi è un clamoroso infortunio. Anzi, Luzzatto – evidentemente ignaro di questa storia – accredita il libro di Zola come un “meticoloso dossier” contro quell’ “industria del miracolo” che sarebbe Lourdes. È significativo che sull’infortunio di Zola a Lourdes gravi ancora un simile tabù. Si rilegge oggi il suo libro come se queste cose non fossero accadute. La pagina del Sole offre anche alcune delle sue pagine dove i cristiani vengono rappresentati come sciocchi creduloni».
Tornando al film non c’è dubbio sul fatto che la regista abbia preso Lourdes come pretesto per riaffermare una propria posizione, una propria idea, rischiando o volutamente volendo così confondere e mistificare lo spettatore. È un chiaro e allo stesso tempo velato attacco al Cristianesimo, fondato sull’irrazionalità di negare l’evidenza di fatti. L’evidenza di quello che è accaduto a Lourdes a Bernardette durante e dopo le apparizioni della Madonna, l’evidenza di milioni di uomini e donne che da 150 anni sono attratti da questo luogo, l’evidenza di guarigioni fisiche (67 i miracoli ufficialmente riconosciuti e miriadi di Grazie) e di conversioni legate al luogo in cui attraverso la presenza di Maria, la Madre di Gesù, traspare la continua e misericordiosa iniziativa di Dio per ciascuno dei suoi figli.
In nessun modo si possono negare 67 miracoli a patto che non si voglia negare la realtà. Il miracolo è un evento straordinario di fronte al quale lealmente la ragione deve aprirsi al Mistero: la scienza, dopo un’accurata indagine può dichiarare la guarigione avvenuta inspiegabilmente secondo le conoscenze attuali della scienza stessa; la Chiesa dopo altrettanta accuratezza può riconoscere il miracolo.
E alzarsi in piedi certo è un miracolo, una gioia immensa… ma inevitabilmente fa scaturire una domanda: alzarsi in piedi per andare dove, verso dove? Verso Chi? E ancora che senso ha guarire da una malattia, se poi bisognerà nuovamente morire?
Ecco perché il vero miracolo, il più grande miracolo che possa accadere alla vita di un uomo, anche a Lourdes, è quello della conversione. Il vero miracolo è l’Incontro con una Presenza che cambia la vita, riempie il cuore e la vita stessa, rivelandola e compiendola, illuminandola e accalorandola dentro qualsiasi momento del suo drammatico procedere e sviluppo, verso il vero destino che è la vita eterna. Cosa può desiderare più di questo il nostro cuore, il cuore dell’uomo, di ogni uomo sulla faccia della terra?
E non ci può essere attacco, tentativo, subdolo stratagemma tantomeno attraverso un film (a meno che non glielo consentiamo) in grado di tacitare lo splendore di uomini e donne che vivono la vita così, la vita in Cristo, e che sono e continuano ad essere testimoni inconfondibili del Risorto!
Lourdes, per chi ne fa realmente e lealmente esperienza, è un ulteriore dono nella Misericordia di Dio a sostegno del cammino della vita di ciascuno.