L’appello del Santo Padre
È stato un terremoto trentamila volte più violento di quello che ha colpito L’Aquila lo scorso anno: dopo solo poche settimana dall’enorme tragedia che ha colpito Haiti, il Cile ora piange le sue 800 vittime, ma il bilancio è ancora provvisorio. Il Paese è stato colpito da un violentissimo sisma di 8.8 gradi della scala Richter e lo scenario è devastante: palazzi distrutti, strade letteralmente sprofondate, black-out elettrici.
La scossa è avvenuta alle 3.34 del mattino (le 7.34 in Italia), è durata un minuto e mezzo ed ha poi generato uno tsunami in tutto l’Oceano Pacifico.
Il mondo si è immediatamente mobilitato per aiutare le popolazioni colpite e anche le comunità cristiane di tutto il mondo hanno inviato il loro contributo. La presidenza della Conferenza Episcopale Italiana, ad esempio, ha stanziato un milione di euro dai fondi derivanti dall’otto per mille. Di fronte a questa ultima immane tragedia non possiamo che inginocchiarci e pregare. Sì, la preghiera come potente arma per i morti e i sopravvissuti, forse anche solo balbettata, ma di chi confida nell’Amore di Dio, che diventa e rimane un segno di speranza sempre e comunque. Ci stringiamo alle vittime, alle loro famiglie e, come ha fatto il Papa durante la preghiera dell’Angelus di domenica 28 febbraio, invochiamo il Signore affinché dia sollievo e coraggio: “Il mio pensiero – ha detto il Santo Padre – va al Cile e alle popolazioni colpite dal terremoto, che ha causato numerose perdite in vite umane e ingenti danni. Prego per le vittime e sono spiritualmente vicino alle persone provate da così grave calamità; per esse imploro da Dio sollievo nella sofferenza e coraggio in queste avversità. Sono sicuro che non verrà a mancare la solidarietà di tanti, in particolare delle organizzazioni ecclesiali”.
Ancora sangue innocente cristiano che scorre invece in Iraq. Si tratta orami di un vero e proprio scempio di vite umane. Questa volta gli assassini hanno colpito il 23 febbraio la famiglia di Padre Mazen, diventato in questi giorni il simbolo della persecuzione anti-cristiana nell’Iraq, un giovane sacerdote sirocattolico di 36 anni che vive a Mosul, capitale petrolifera dell’Iraq settentrionale. Gli assassini erano tanto sicuri di loro stessi da raggiungere in motocicletta a volto scoperto l’abitazione delle loro vittime. E uccidere, violentare, terrorizzare, rubare con la freddezza di chi sa che comunque resterà impunito.
Ecco la breve testimonianza di padre Mazen: “Io in quel momento ero in chiesa. Mia mamma sostiene che non potevano avere più di 23 anni. Uno tremava quando ha sparato a mio padre Jeshu (69 anni) e i miei due fratelli, Mukhlas di 34 anni e Bassem di 43: ha sbagliato quasi tutti i colpi. Ma gli altri due sono stati precisi. Hanno mirato con le pistole da pochi centimetri alla bocca, poi alla testa e quando i miei cari sono caduti a terra hanno tirato ai polmoni. Sono morti subito”. E ancora: “I criminali sono entrati in casa hanno chiesto le carte d’identità. Forse cercavano me, oppure volevano essere certi che fosse una famiglia cristiana. Mia mamma ha offerto loro denaro, lo hanno rifiutato, quindi è fuggita sul balcone per gridare aiuto. Ma nessuno si è mosso. È stato allora che hanno separato le donne dagli uomini. Poi hanno sparato”. Non più solo rapimenti, agguati e omicidi in strada: ora la caccia al cristiano in Iraq si svolge attraverso veri e propri rastrellamenti casa per casa.
Shlemon Warduni, vicario patriarcale caldeo di Baghdad, ha esortato la comunità affermando: “Muoviamo le coscienze di tutti per fermare il massacro”.
Continuiamo a pregare per tutti quegli uomini e donne che ogni giorno perdono la vita per Gesù o sono perseguitati nel Suo nome e ci uniamo alla preghiera del Santo Padre che, sempre all’Angelus dello scorso 28 febbraio, ha rivolto questo appello: “Ho appreso con profonda tristezza le tragiche notizie delle recenti uccisioni di alcuni Cristiani nella città di Mossul e ho seguito con viva preoccupazione gli altri episodi di violenza, perpetrati nella martoriata terra irachena ai danni di persone inermi di diversa appartenenza religiosa. In questi giorni di intenso raccoglimento ho pregato spesso per tutte le vittime di quegli attentati ed oggi desidero unirmi spiritualmente alla preghiera per la pace e per il ripristino della sicurezza, promossa dal Consiglio dei Vescovi di Ninive. Sono affettuosamente vicino alle comunità cristiane dell’intero Paese. Non stancatevi di essere fermento di bene per la patria a cui, da secoli, appartenete a pieno titolo! Nella delicata fase politica che sta attraversando l’Iraq mi appello alle Autorità civili, perché compiano ogni sforzo per ridare sicurezza alla popolazione e, in particolare, alle minoranze religiose più vulnerabili. Mi auguro che non si ceda alla tentazione di far prevalere gli interessi temporanei e di parte sull’incolumità e sui diritti fondamentali di ogni cittadino. Infine, mentre saluto gli iracheni presenti qui in Piazza, esorto la comunità internazionale a prodigarsi per dare agli Iracheni un futuro di riconciliazione e di giustizia, mentre invoco con fiducia da Dio onnipotente il dono prezioso della pace”.