La scuola: questione di cuore o campo di battaglia?
La vecchia figura del maestro unico, che tutti avevano dato oramai per archiviata, è tornata di recente alla ribalta grazie alla riforma Gelmini.
Dal prossimo anno scolastico sarà introdotta solo nella prima classe della scuola primaria ed entrerà gradualmente a regime.
Sul piede di guerra sindacati e docenti che temono possibili tagli al personale e riduzione degli stipendi. Diverse le forme di protesta tra cui la “colorita” fascia nera al braccio e le aule addobbate con paramenti funerari.
Non si negano di certo né i disagi né i problemi organizzativi che questa novità provocherà negli addetti ai lavori, ma qual è il punto della questione? Chi ascolta anche le insoddisfazioni dei piccoli utenti?
Il card. A. Bagnasco, presidente della Cei, intervenendo al convegno, organizzato di recente a Genova dall’Ufficio scolastico diocesano, sul tema “Emergenza educativa a scuola, in famiglia, nella comunità cristiana” così ha detto: «La nostra cultura è chiamata a una profonda responsabilità», proponendo «una formazione integrale della persona». Tutte le agenzie educative devono rispondere alle domande di senso dei ragazzi che, sempre più spesso, provano un «vuoto dell’anima» ed una «povertà interiore», che sono alla base delle «troppe pagine di cronaca nelle quali si riportano fatti gravi e deprecabili e che vedono come protagonisti tanti giovani e tanti minorenni». A margine del simposio, il porporato ha poi parlato del maestro unico e dell’attuale dibattito in corso sulla riforma della scuola italiana. «Il maestro unico o prevalente è una figura utile a una sintesi educativa». Non «esclude le altre voci» ma aiuta il bambino a «recepire meglio, in modo più evidente, più visibile e quindi più efficace».
Questo è proprio il punto della questione: sulle polemiche deve prevalere l’interesse di ogni bambino, che ha bisogno di trovare nell’insegnante una guida, un punto di riferimento accanto alle figure genitoriali, cosa sicuramente più difficile con tre maestri.
Ciò non nega che ai fini della formazione integrale della persona umana possano contribuire risorse esterne, quali collaboratori linguistici o informatici, come effettivamente la riforma scolastica prevede, ma occorre prendersi a cuore la vita dei propri scolari, come se fossero figli, che necessitano di un solo e chiaro metodo educativo per non cadere nella filosofia del “tutto è opinabile e praticabile”.
La Chiesa da tempo parla di emergenza educativa per porre a tema la corretta e completa crescita psico-fisica dell’individuo a vantaggio dell’intoccabile dignità umana, e forse questa novella legislativa ne ha colto tutta la sua importanza.
Questa sana tensione dovrebbe muovere un qualunque politico nonché insegnanti e genitori, quando hanno a che fare con l’avventura educativa.