La legge 194 al vaglio della Consulta
Sembra impossibile ma è vero!
Con un’ordinanza datata 3 gennaio 2012, il giudice tutelare del Tribunale di Spoleto ha sollevato con ricorso alla Corte Costituzionale il problema di costituzionalità dell’art. 4 della legge 194/1978, meglio nota come legge sull’aborto, che consente “l’interruzione volontaria della gravidanza entro i primi novanta giorni [al]la donna che accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito”.
Tale insolito impulso della magistratura nasce dalla richiesta di una ragazza sedicenne di Spoleto, che si è rivolta al consultorio pubblico manifestando la sua ferma volontà di interrompere la gravidanza senza aver informato i suoi genitori. I servizi sociali, relazionando che la decisione della minore era chiara e determinata, e che la ragazza era convinta di “non essere in grado di crescere un figlio, né disposta ad accogliere un evento che non solo interferirebbe con i suoi progetti di crescita e di vita, ma rappresenterebbe un profondo stravolgimento esistenziale”, hanno indicato alla ragazza di rivolgersi al giudice tutelare per l’autorizzazione alla richiesta.
Il contrasto rilevato dal giudice tutelare, che ha sollevato d’ufficio incidente di costituzionalità, riguarda quanto indicato dalla Corte europea per i diritti dell’uomo sulla tutela assoluta dell’embrione umano nella sentenza del 18 ottobre 2011. Tale sentenza, in particolare, ha espressamente vietato la brevettabilità dell’embrione umano e ogni altra procedura che implichi il suo sfruttamento a fini industriali-commerciali, compresa la sua “distruzione” se finalizzata a tale impiego.
Da questo importante e rivoluzionario spunto si è mosso il ragionamento del giudice di Spoleto, secondo cui “vietare la distruzione dell’embrione umano equivale ad affermare il disvalore assoluto in ogni caso della perdita dell’embrione umano per consapevole intervento dell’uomo”. Gli sembra, infatti, che in tale divieto vi sia l’“affermazione, nemmeno troppo implicita, della giuridica esistenza di un soggetto, l’embrione umano che, in ogni caso, deve trovare tutela in forma assoluta”.
“Se tale interpretazione non erra – scrive – sembra necessario farne diretta applicazione nel diritto interno allo Stato e porre d’ufficio la questione della compatibilità fra tale affermato principio e la facoltà prevista dall’art. 4 della legge 194/1978 di procedere volontariamente all’interruzione della gravidanza entro i primi novanta giorni dal concepimento”.
Da un punto di vista giuridico, secondo il giudice, la facoltà di procedere volontariamente all’interruzione della gravidanza entro i primi 90 giorni dal concepimento comporta “l’inevitabile risultato della distruzione di quell’embrione umano che è stato riconosciuto quale soggetto da tutelarsi in modo assoluto, quale essere provvisto di un’autonoma soggettività giuridica della cui tutela l’ordinamento deve farsi carico” e rappresenta una possibile lesione del diritto alla vita dell’embrione, in quanto uomo in fieri.
Proprio in conseguenza di questa sentenza europea, l’articolo 4 della legge 194, dunque, si porrebbe in contrasto con i principi generali della nostra Costituzione ed in particolare con quelli della tutela dei diritti inviolabili dell’uomo (articolo 2) e del diritto fondamentale alla salute dell’individuo (articolo 32), per non parlare della lesione dell’art. 11 sulla cooperazione internazionale e dell’art. 117 sul diritto all’assistenza sanitaria e ospedaliera.
Sull’argomento è intervenuto anche il prof. D’Agostino (Radio Vaticana 8.6.2012) presidente dell’Unione Giuristi Cattolici italiani, intervistato da Radio Vaticana, sottolineando che “la Corte Costituzionale italiana dovrebbe aver il coraggio di leggere nella sentenza della Corte europea di giustizia non tanto un dispositivo garante del nostro ordinamento, perché non è così, ma un principio di civiltà giuridica o, se si vuole, un messaggio di civiltà giuridica, che la Corte europea di giustizia ha mandato a tutti i Paesi europei”.
Ora, infatti, la parola spetta alla Consulta che il 20 giugno esaminerà in camera di consiglio la norma “inquisita”, che da sempre è stata osannata come norma civile e simbolo di libertà e democrazia, ma che di fatto ritiene ingiustamente più rilevanti i diritti della donna rispetto a quelli dell’embrione, l’unico soggetto indifeso che invece dovrebbe essere necessariamente tutelato.
Finalmente qualche giudice si è accorto della contraddizione interna di questa legge, che nel suo incipit chiarisce che “lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e
responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio”, ma che poi viene applicata solo come pretesto per un libero arbitrio. E poi non possiamo dimenticarci che il nostro ordinamento giuridico già prima della legge 194 riconosceva il nascituro come soggetto di diritti.
Ciascuno di noi è stato all’inizio della sua vita un embrione, è innegabile, e se qualcuno avesse deciso arbitrariamente di interromperne l’esistenza di certo non saremmo qui a parlarne!
Da questa evidenza occorre partire per dare la giusta tutela alla vita sin dal suo concepimento e ci auguriamo che sempre più giudici tutelari, che si vedono costretti a decidere su richieste di autorizzazione, prendano consapevolezza di ciò e con questo aiutino veramente anche queste giovani mamme che vivono il dramma di credere che l’interruzione di gravidanza possa essere una risoluzione alle loro difficoltà.