La giustizia e il crocifisso possono andare d’accordo
È stato rimosso dall’ordine giudiziario il giudice di Camerino, Luigi Tosti, che era “balzato” alla cronaca italiana come il “giudice anti-crocifisso”, per il suo rifiuto di tenere udienze nelle aule giudiziarie in cui era esposto il crocifisso tra il maggio e il luglio del 2005.
Questa è la sanzione inflitta dalla sezione disciplinare del Csm resa nota il 22 gennaio, su richiesta del sostituto procuratore generale di Cassazione Eduardo Scardaccione, dopo che lo stesso giudice era già stato sospeso dalle funzioni e dallo stipendio nel 2006.
Tosti era accusato di aver violato “i doveri istituzionali e professionali di diligenza e di laboriosità, con grave e reiterata inosservanza delle disposizioni relative alla prestazione del servizio giudiziario”, come si legge nel capo di imputazione redatto dalla Procura generale della Cassazione, poiché si era “sottratto ingiustificatamente ed abitualmente dalle relative funzioni a lui conferite”,
e la sua condotta aveva causato “la necessità delle relative sostituzioni, grave perturbamento dell’attività d’ufficio ed estrema difficoltà del proseguo dell’attività giurisdizionale per i procedimenti a lui affidati”. Tra l’altro, spiega la Procura generale della Cassazione nell’imputazione, “tale condotta era persistita nonostante la messa a disposizione da parte del Presidente del Tribunale di un’aula priva di simboli religiosi”; quindi si rileva che Tosti era “venuto meno al dovere fondamentale di svolgimento della funzione” ed aveva “compromesso la credibilità personale ed il prestigio dell’istituzione giudiziaria”.
In sede penale, però, Tosti era stato assolto in via definitiva dall’accusa di omissione di atti d’ufficio per il suo rifiuto di tenere udienza nelle aule con il simbolo religioso: la Cassazione, nello scorso febbraio, annullò senza rinvio “perché il fatto non sussiste” la condanna a sette mesi di reclusione e a un anno di interdizione dai pubblici uffici inflitta all’ex magistrato dalla Corte d’appello de L’Aquila, rilevando che la condotta di Tosti, che era stato sostituito da altri giudici, non aveva impedito lo svolgimento delle udienze.
La replica di Tosti è stata immediata: “con la sentenza del Csm si è scritta una pagina nera per la laicità dello Stato italiano”; ha aggiunto di voler impugnare il verdetto “prima davanti alle sezioni unite civili della Cassazione, poi, se sarà confermata una sentenza negativa, mi rivolgerò alla Corte europea”, ribadendo che “nessuno può essere obbligato a subire una violazione di diritti inviolabili né a violare quelli degli altri, e nemmeno il principio costituzionale supremo di laicità”.
In concomitanza con questo episodio c’è stato l’annuncio da parte del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta, della presentazione del ricorso alla Grande Camera contro la sentenza di Strasburgo, che ha chiesto all’Italia la rimozione dei crocifissi dai luoghi pubblici. Letta ha fatto l’annuncio intervenendo a una conferenza all’ambasciata italiana presso la Santa Sede a cui ha preso parte anche il presidente della Cei, card. Angelo Bagnasco, il quale ha ricordato che la sentenza “va contro l’oggettività storica dell’Europa, ma va anche contro il sentire popolare della gente. Si deve auspicare – ha concluso – che la Corte possa riequilibrare il suo pronunciamento nel rispetto di questa verità storica e del sentire delle persone”.
Rispetto alla condotta del magistrato Tosti non possiamo non porci delle domande: si parla di violazione dei diritti inviolabili e del principio di laicità dello Stato, ma cosa viene di fatto violato? Quale coscienza umana può sentirsi offesa da un gesto di amore e misericordia come quello che ci testimonia Gesù sulla croce? A maggiore ragione per chi ritiene di non sentirsi coinvolto dal rapporto con un Dio che definisce sconosciuto o inesistente, o comunque ininfluente con la propria vita.
Di certo ciò che più emerge è la negligente condotta di un giudice che si rifiuta di prestare il suo doveroso e pubblico servizio a favore del popolo; difatti la stessa Costituzione italiana prevede che la giustizia sia amministrata in nome del popolo, e non di ciò che passa per la testa ad un giudice qualsiasi la mattina quando arriva in tribunale.
È come se i tantissimi Medici Senza Frontiere o i volontari o i missionari italiani, che partono dalle loro case e lasciano tutto per prestare la propria assistenza medica e spirituale nel mondo, ovunque ce ne sia bisogno a causa delle guerre, della povertà, o di terremoti, come ultimamente ad Haiti, si rifiutassero di operare perché le persone da soccorrere sono di un altro credo religioso e magari pregano davanti a dei propri simboli religiosi. Sarebbe assurdo ed andrebbe contro qualsiasi giuramento medico, voto religioso e coscienza umana. Immaginate se di fronte alle macerie, ai morti, ai feriti e alle migliaia di senza tetto che in questi giorni hanno riempito i notiziari di tutto il mondo, un medico o un missionario si preoccupassero di verificare se ci sono simboli diversi dal loro credo invece di intervenire prontamente e fornire il necessario soccorso.
Allora perché dovrebbe essere diverso per un giudice, che la legge chiama ad essere garante della giustizia, interprete ed esecutore della legge di fronte a controversie tra gli uomini che rischiano di sviare dalla strada del diritto?
Premesso che nulla e nessuno può sentirsi offeso da un segno concreto della tradizione e della storia del popolo italiano, come è il crocifisso, rimane il fatto che ci si nasconde dietro la laicità dello Stato solo per affermare la propria ideologia; con l’aggravante che chi lo fa ha, invece, il grave ed importante potere di amministrare la giustizia e non di imporre le proprie effimere idee.
La storia del nostro Paese passa anche attraverso simboli, cancellando i quali si cancella una parte di noi stessi. Inoltre il crocifisso in sé richiama ad ogni non credente valori civilmente rilevanti, esprimendo la sua valenza educativa a prescindere dal credo professato, quali la tolleranza, il rispetto reciproco, il valore della persona e dei suoi diritti, la solidarietà umana, l’uguaglianza tra gli uomini.
Quindi, pur non entrando sulla giustezza o meno della sanzione disciplinare applicata al giudice Tosti, certamente il suo comportamento è risultato pretestuoso oltre che ingiusto, e ci consente di ribadire che il difficile compito del magistrato è innanzitutto un servizio al buon andamento di ogni Stato, prima che un potere.