La Giornata mondiale del rifugiato
Da sette anni il 20 giugno si celebra la Giornata mondiale del rifugiato. Questa iniziativa fu presa nel 2000 dall’Assemblea generale dell’Onu che, con una risoluzione, dedicò a tutti i rifugiati del mondo quello che, fino ad allora, era stato l’Africa Refugee day. Secondo la Convenzione di Ginevra del 1951, il rifugiato è chi è perseguitato personalmente per motivi politici, o religiosi, o di razza, di nazionalità o di appartenenza a un gruppo. I Paesi che aderiscono alla Convezione di Ginevra sono perciò tenuti a dare asilo alle persone che si trovano in queste condizioni.
A cosa servono tutte queste giornate dedicate ai temi più disparati se non a tenere alta l’attenzione su certe questioni e particolarmente su quelle che necessitano un urgente affronto sociale e politico?
Già un anno fa, sempre in occasione del 20 giugno, il Governo aveva annunciato, entro un anno, di voler dar luce a una legge di riferimento per una reale possibilità di inserimento sociale e lavorativo degli immigrati e rifugiati nella nostra società. Ma i risultati concreti non si vedono ancora…
Chi non ha presente le tragiche scene degli sbarchi di gommoni e di affollatissime barchette a Bari, a Lampedusa, a Siracusa…piene di disperati che intraprendono quei tremendi “viaggi di speranza” che non poche volte si sono tramutati in viaggi di morte!
Fortress Europe è una rassegna stampa che dal 1988 ad oggi fa memoria delle vittime della frontiera: il rapporto di maggio 2007 riferisce di 135 morti in un mese, 111 le vittime nel Canale di Sicilia, 13 nello Stretto di Gibilterra e 11 sulle rotte per le Canarie.
Sempre secondo Fortress Europe sono 9.054 gli immigrati morti dal 1988 a oggi alle frontiere europee (3.133 i dispersi). Nel Mar Mediterraneo e nell’Oceano Atlantico sono annegate 6.582 persone; quasi la metà delle salme (3.133) non sono mai state recuperate. Nel canale di Sicilia, tra la Libia, l’Egitto, la Tunisia, Malta e l’Italia, le vittime sono 2.069, tra cui 1.234 dispersi. Altre 63 persone sono morte navigando dall’Algeria verso la Sardegna.
Il tema scelto quest’anno dall’UNHCR, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati in Italia, per la Giornata Mondiale del Rifugiato 2007, è stato l’intolleranza. “I rifugiati infatti si trovano spesso ad affrontare, oltre all’intolleranza che li ha costretti alla fuga, una nuova intolleranza nel Paese d’asilo che mina la loro integrazione e rende la loro vita ancora più difficile” si legge nel comunicato stampa, il cui slogan è “l’intolleranza ti isola”.
Questo perché il relatore speciale dell’Onu su razzismo, xenofobia e intolleranza, Doudou Diène, incaricato di valutare la situazione in Italia, nel suo rapporto pubblicato lo scorso febbraio ha affermato che “la società italiana presenta una preoccupante tendenza alla xenofobia, alimentata da una retorica anti-immigrazione che ha dominato il dibattito politico negli ultimi anni e all’adozione, in tema di immigrazione e asilo, di un approccio basato sulla sicurezza”. Un’analisi che sarebbe un monito forte al Paese e un invito rivolto a tutti – Governo e società civile – a fare qualcosa di concreto per arginare questa deriva.
Pubblichiamo allora una testimonianza “così ho salvato quei disperati” ripresa da Famiglia Cristiana del comandante Pietro Russo che insieme al suo equipaggio ha ricevuto il primo premio “Per mare” assegnato nel corso della conferenza organizzata dalla UNHCR per aver salvato la vita a 21 profughi.
Soprattutto ci chiediamo se questa analisi fatta al nostro Paese sia realista, se realmente l’Italia può essere “etichettata” xenofoba. L’esperienza di tutti i giorni certamente ci fa imbattere in un clima e in un atteggiamento nei confronti degli immigrati nel nostro Paese sicuramente preoccupato, non sereno, e soprattutto diverso rispetto a quello che si respirava qualche anno fa. D’altro canto diversa è anche la situazione che ci ritroviamo di fronte agli occhi: aumentano a dismisura nelle strade e per le piazze uomini, donne, ragazze e bambini in evidente stato di difficoltà e povertà, intenti a chiedere l’elemosina ai semafori, a vendere CD in spiaggia, collanine e bracciali in strada. Dunque qualcosa evidentemente non và. Il problema però è nell’intolleranza o nella non riuscita integrazione? Il problema è nel sentimento della gente o in chi dovrebbe favorire delle leggi, che promuovano un iter chiaro di necessaria integrazione oltre che di accoglienza, di necessario rispetto della cultura della nazione in cui si è accolti oltre che di apertura in chi accoglie. Questo sta realmente accadendo? Ci sono leggi, disposizioni e intenzioni per favorirlo a livello sociale, culturale e politico? L’accoglienza cos’è realmente? Quali sono i doveri di chi viene accolto? E perché non sostenere la situazione disagiata dei Paesi d’origine da cui molti fuggono? Riproponiamo un articolo di Alessandro Maggiolini da il Giornale del 03 maggio già precedentemente pubblicato in Rassegna Stampa che esprime appunto le stesse domande anche in riferimento al recente disegno di legge sull’immigrazione. Non possiamo non concludere quanto detto rivolgendoci a ciò che il Santo Padre ha voluto con amore paterno scrivere in occasione della Giornata Mondiale del migrante e del rifugiato (2007).
Benedetto XVI chiede espressamente che alla famiglia immigrata venga assicurata “una reale possibilità di inserimento e di partecipazione” al fine di creare un suo sviluppo armonico.
La Chiesa stessa “incoraggia la ratifica degli strumenti internazionali legali tesi a difendere i diritti dei migranti, dei rifugiati e delle loro famiglie, ed offre, in varie sue Istituzioni e Associazioni, quell’advocacy che si rende sempre più necessaria. Sono stati aperti, a tal fine, Centri di ascolto dei migranti, Case per accoglierli, Uffici per servizi alle persone e alle famiglie, e si è dato vita ad altre iniziative per rispondere alle crescenti esigenze in questo campo”.
Pur essendo vicino al bisogno di ogni uomo, comunque il Santo Padre chiede ai rifugiati “di coltivare un atteggiamento aperto e positivo verso la società che li accoglie, mantenendo una disponibilità attiva alle proposte di partecipazione per costruire insieme una comunità integrata, che sia “casa comune” di tutti”.