La frequenza dell’ora di religione cattolica non concorrerà all’attribuzione del credito scolastico
Frequentare l’ora di religione non può portare crediti aggiuntivi agli studenti che si presentano agli esami di maturità e, in ogni caso, gli insegnanti di religione non possono partecipare a pieno titolo agli scrutini.
Lo ha stabilito il Tar del Lazio accogliendo, con la sentenza n. 7076 i ricorsi presentati a partire dal 2007 da alcuni studenti supportati da diverse associazioni laiche e confessioni religiose non cattoliche; gli studenti chiedevano l’annullamento delle ordinanze ministeriali firmate da Giuseppe Fioroni e adottate durante gli esami di Stato del 2007 e 2008 che prevedevano che a determinare il credito scolastico per gli esami di maturità potesse concorrere anche la valutazione dell’insegnante di religione. Soddisfatti i 24 ricorrenti, tra cui la Consulta romana per la laicità delle istituzioni, il Coordinamento genitori democratici, le Chiese evangeliche, luterana, valdese, l’Unione delle comunità ebraiche.
Nella sentenza, emessa il 18 luglio e resa nota in questi giorni, i giudici fanno menzione anche del principio della laicità dello Stato, enunciato dalla Corte Costituzionale (sentenza n.203/89), ritenuto garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà religiosa, in regime di pluralismo confessionale e culturale. Secondo il Tar, infatti, “sul piano giuridico un insegnamento di carattere etico-religioso, strettamente attinente alla fede individuale, non può assolutamente essere oggetto di una valutazione sul piano del profitto scolastico”.
”In una società democratica – affermano i giudici – certamente può essere considerata una violazione del principio del pluralismo il collegamento dell’insegnamento della religione con consistenti vantaggi sul piano del profitto scolastico e quindi con un’implicita promessa di vantaggi didattici, professionali ed in definitiva materiali”. Ne consegue che l’inclusione della religione nella “rosa” delle materie da cui scaturiscono i giudizi degli allievi è ritenuta illegittima: secondo il Tar questa interpretazione, data dal ministero dell’Istruzione, “appare aver generato una violazione dei diritti di libertà religiosa e della libera espressione del pensiero; nonché di libera determinazione degli studenti relativamente all’insegnamento della religione cattolica”.
Partendo da questo concetto di fondo lo stesso metro va adottato per i crediti formativi utilizzati dai commissari della maturità, derivanti da esperienze extra-curriculari svolte nell’ultimo triennio delle superiori e che hanno incidenza diretta nella formazione del punteggio finale (fino a 25 punti). Per i giudici del tribunale del Lazio “l’attribuzione di un credito formativo ad una scelta di carattere religioso degli studenti e dei loro genitori, quale quella di avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche, dà luogo ad una precisa forma di discriminazione, dato che lo Stato Italiano non assicura identicamente la possibilità per tutti i cittadini di conseguire un credito formativo nelle proprie confessioni ovvero per chi dichiara di non professare alcuna religione in Etica Morale Pubblica”. Quindi, ha precisato ancora la sentenza, “lo Stato, dopo aver sancito il postulato costituzionale dell’assoluta, inviolabile libertà di coscienza nelle questioni religiose, di professione e di pratica di qualsiasi culto «noto», non può conferire ad una determinata confessione una posizione «dominante»”.
Questo significa che, a meno che non ci sia un auspicato ricorso degli Insegnanti e del Ministero della Pubblica Istruzione al Consiglio di Stato, la frequenza dell’ora di religione cattolica non concorrerà all’attribuzione del credito scolastico per gli esami di maturità dell’anno 2009 e 2010 e che i docenti di religione cattolica non potranno partecipare a pieno titolo alle deliberazioni del consiglio di classe concernenti l’attribuzione del credito scolastico agli alunni che si avvalgono di tale insegnamento.
Proponiamo alcuni autorevoli commenti alle motivazioni di tale sentenza.
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