In nome del popolo italiano!
Il 23 maggio c.a. la Corte d’Appello dell’Aquila ha confermato la condanna inflitta in primo grado al giudice ”anti-crocifisso” Luigi Tosti. L’accusa consisteva nell’omissione di atti di ufficio, per “essersi indebitamente astenuto dal tenere le udienze a causa della presenza del crocifisso nelle aule giudiziarie”.
Il 18 novembre del 2005, infatti, il Tribunale dell’Aquila condannò in primo grado Tosti a sette mesi di reclusione e un anno di interdizione dai pubblici uffici, con pena sospesa e non-menzione.
In secondo grado la pena è rimasta inalterata in quanto, dice la Corte, “la presenza o meno del crocifisso in un’aula di giustizia è irrilevante ai fini dello svolgimento del processo e non crea una condizione di illegittimità”.
Riportava la Repubblica del 23 maggio che l’imputato “è rimasto fedele alle sue convinzioni anche quando i suoi colleghi sono usciti dalla camera di consiglio per leggere la sentenza: il giudice Luigi Tosti nell’aula della Corte d’appello dell’Aquila non è entrato perchè alla parete era appeso un crocifisso”.
Lo stesso atteggiamento ha mantenuto il suo avvocato che con una battuta iniziale ha affermato di sentirsi infastidito dal crocifisso appeso in aula nell’esporre la sua linea difensiva.
Occorrerebbe ricordare a questi uomini di legge che cosa significa sentenziare in nome del popolo italiano, cioè affermare e far emergere nelle circostanze i principi fondamentali, le norme, le tradizioni e gli usi consuetudinari che uniscono un popolo e lo rendono degno di essere chiamato tale.
Forse la Costituzione europea ha volutamente dimenticato le origini dei Paesi che va a disciplinare, ma la storia e la coscienza di ogni individuo non possono essere cancellate, neanche di fronte a chi dovrebbe applicare la legge almeno secondo buon senso.
Ci deve spiegare questo giudice come e perché la croce di Cristo può offendere il suo animo sensibile; cosa toglie alle sue convinzioni personali, tanto da impedirgli di svolgere diligentemente il suo lavoro.
Dov’è il rispetto, tanto proclamato, dell’eguaglianza religiosa e della libertà religiosa?
Si può arrivare alla discriminazione religiosa ai danni del simbolo del cristianesimo? (Il Giornale del 17 maggio 2007)
E’ un cane che si morde la coda, oppure si tratta dell’ormai noto e noioso odio che il mondo prova per Cristo e la Sua Chiesa, da attaccare ogni giorno affinché vinca il relativismo, il caos e la propria illogica e limitata misura.La croce è il simbolo della libertà umana, perché attraverso di essa Cristo ha vinto il peccato e la morte, riconciliando ogni uomo con il Padre Creatore.