Il paradosso della“Legge sui Diritti e le Garanzie della Dignità delle Persone nel Processo della Morte”
“La vecchia strategia delle menzogne. Usano degli eufemismi, ma non ci ingannano: è la cultura della morte. Dietro a questo progetto di legge, si nasconde l’eutanasia”. Queste sono le dure parole che Alicia Latorre, presidente della Federazione spagnola associazioni pro-life, ha utilizzato in riferimento alla bozza della legge sulla cure palliative e la cosiddetta “morte degna”, approvata dal governo di José Luis Rodriguez Zapatero, definendolo il primo passo verso il tentativo di legalizzare l’eutanasia.
Alla fine di giugno è stato reso noto il testo del disegno di legge che regolerebbe i diritti della persona di fronte alla fase finale della vita e che il Governo spagnolo ha inoltrato alle Cortes, Camera dei Deputati; ora è al vaglio della commissione Sanità e Consumo della stessa Camera che potrà modificare il disegno mediante emendamenti fino al 6 settembre.
Tale progetto, pur non includendo espressamente l’eutanasia tra i diritti dei pazienti, prevede per esempio, all’articolo 15, l’obbligo per il medico di compiere la volontà del paziente al punto da esimerlo dalla responsabilità se agisce in modo inadeguato o punibile, oppure, all’articolo 11, definisce la sedazione palliativa diritto senza limiti e non trattamento soggetto a indicazioni concrete proposto dal medico; in realtà la normativa regolarizzerebbe il ricorso alla sedazione in dosi nettamente superiori a quelle necessarie, provocando la morte.
Inoltre la legge sembra concedere un poter ancor maggiore al medico, che potrà prendere decisioni alla fine della vita senza dover consultare altri medici né la famiglia.
In attesa del responso finale, che ha già purtroppo manifestato tutta la sua intenzione di far passare la sedazione terminale come morte degna, dimenticando che si tratta comunque di una prassi eutanasica, il Parlamento dell’Andalusia ha approvato già a metà marzo del 2010 una legge che regola questa “morte degna”, con il titolo “Legge sui Diritti e le Garanzie della Dignità delle Persone nel Processo della Morte”.
I giornali europei non hanno dato molto clamore alla notizia, facendola passare quasi sottobanco, mentre è stata la Chiesa spagnola a far sentire la sua voce indignata per questa menzogna che si sta perpetrando sotto diverse forme; difatti i Vescovi andalusi già si erano espressi sul progetto di legge, affermando che la libertà non può giustificare atti contro la vita umana, propria o altrui.
Da parte sua il Parlamento non sentito ragioni ed ha così approvato la prima norma autonomistica della Spagna (quindi indipendente da una legge nazionale) che regolerà i diritti del paziente nell’ultima tappa della sua vita e i doveri dei medici nei centri sia pubblici che privati. Pertanto l’Andalusia vanta il tragico primato di essere stata la prima regione di tutto il Paese iberico ad approvare questo progetto di morte, bruciando le tappe rispetto alle altre e anticipando una legge nazionale.
In poche parole la cosiddetta “Legge sui Diritti e le Garanzie della Dignità delle Persone nel Processo della Morte” regola la limitazione dello sforzo terapeutico, proibisce l’accanimento terapeutico e permette ai pazienti di rifiutare un trattamento che prolunghi la loro vita in modo artificiale. Inoltre, la norma non regola l’obiezione di coscienza dei medici, visto che, secondo i giuristi del Consiglio Consultivo dell’Andalusia, deve essere una legge statale a farlo.
Ed è proprio “grazie” a questa legge della “muerte digna” che in questi giorni l’amministrazione andalusa ha obbligato l’ospedale di Huelva dove è ricoverata Ramona Estevez, 91 anni, in coma a causa di un ictus cerebrale, a toglierle il sondino nasogastrico per l’alimentazione e l’idratazione applicato il 4 agosto scorso. Difatti dopo l’infarto cerebrale del 26 luglio, per la Sanità dell’Andalusia il suo caso si è trasformato in un “processo irreversibile”.
L’intervento drastico dell’amministrazione andalusa è stato richiesto per risolvere il conflitto che si era creato tra la famiglia di Ramona Estévez, che il 23 agosto ha chiesto l’applicazione della legge di morte degna, e l’ospedale che la ospitava.
La vicenda di Ramona ha riaperto il dibattito sull’eutanasia e sui labili confini di pratiche ambigue, che suscitano timori e dubbi. Per l’associazione Diritto di Vivere (Dav), il governo andaluso ha commesso un reato: i pro-life hanno denunciato l’assessore alla Sanità dell’Andalusia, Maria Jesus Montero, e l’ospedale Blanca Paloma, per presunta omissione del dovere di soccorso e per induzione al suicidio.
Ramona “non morirà per un versamento cerebrale, bensì a causa della fame”, scrive l’avvocato di Dav, Nicolas Moron: questa è “una pratica eutanasica direttamente finalizzata a provocare la morte della paziente”, cosa che “non è permessa nel nostro ordinamento giuridico”. La legge Andalusa, difatti, non permette esplicitamente l’eutanasia (vietata dalla legislazione iberica), ma proibisce l’accanimento terapeutico: la sonda – ricorda la Dav – serve ad alimentare una persona, dunque è “assistenza elementare”. Inoltre non è stato dimostrato il carattere irreversibile dello stato in cui si trova la paziente: “Bisognerebbe aspettare almeno tre mesi per parlare di coma irreversibile”, afferma ancora l’associazione Dav.
I familiari di Ramona nel fare la loro richiesta, così a breve distanza dall’inizio della malattia dell’anziana donna, hanno assicurato di agire nel rispetto della volontà della paziente, anche se non esistono testamenti biologici o dichiarazioni che attestino tale volontà.
Il vescovo di Huelva, monsignor José Vilaplana, ha condannato l’eutanasia, ribadendo che “l’unico dovere della società verso la malata è aiutarla a vivere. La vita non si usa e si getta. La dignità della vita umana non può essere legata allo stato di coscienza o incoscienza del paziente”.
Certo è quasi da brivido pensare che uomini possano “regalare” ad altri uomini una morte degna. Come si può giudicare la dignità di una vita rispetto ad un’altra, quale è la misura di valore da applicare? Oggi parliamo di una donna di 91 anni per cui la mentalità comune non si fa grandi rimorsi, ma se è un bambino ad avere bisogno di essere alimentato artificialmente vale la stessa logica spietata? Chi e come può decidere quale sia il tempo adeguato per troncare la vita di un uomo dall’inizio della sua malattia?
Senza avere la pretesa di entrare nel dolore straziante di familiari che spesso vivono da impotenti la malattia di un loro caro, non possiamo però non mettere in moto la ragione e tenere quindi ben distinti l’accanimento terapeutico dal sistema di alimentazione e idratazione, che è un mezzo di assistenza elementare e dovuto per ogni paziente non in grado di alimentarsi da solo a causa di varie problematiche. Purtroppo il tentativo subdolo di questi legislatori è proprio quello di, mascherandosi da difensori della patria, permettere all’uomo di interrompere una vita in qualsiasi momento, senza peraltro specificare requisiti per farlo, magari perché non è più degna di essere vissuta, forse perché non è più considerata una risorsa, impegna le casse della Sanità più del dovuto, occupa posti letto utilizzabili diversamente, insomma è un peso economico da eliminare.
Quali diritti tutela questa legge? Quali garanzie? Come si fa a dire che il mangiare e bere è accanimento terapeutico? Di innaturale c’è solo il distacco del sondino da parte del sanitario, che, non lo dimentichiamo, ha prestato il giuramento di difendere ogni vita umana, senza alcuna distinzione!
Abbiamo ancora nel cuore la dolorosa storia della nostra connazionale Eluana, la cui vita è stata interrotta per decisione del potere giudiziario su richiesta del padre. È chiaramente possibile parlare di un diritto a vivere, ma vale lo stesso per un diritto a morire? Di certo il diritto naturale ci dice altro.
E pensare che proprio in quei giorni in cui l’Andalusia si prendeva la responsabilità di “uccidere” una donna, il Papa si trovava proprio in Spagna, a Madrid, circondato dai suoi figli più giovani, e forse non a caso Benedetto XVI rivolgeva all’assemblea questo invito, il 18 agosto scorso nel discorso durante la festa di accoglienza dei giovani: “…Sì, ci sono molti che, credendosi degli dei, pensano di non aver bisogno di radici, né di fondamenti che non siano essi stessi. Desidererebbero decidere solo da sé ciò che è verità o no, ciò che è bene o male, giusto e ingiusto; decidere chi è degno di vivere o può essere sacrificato sull’altare di altre prospettive; fare in ogni istante un passo a caso, senza una rotta prefissata, facendosi guidare dall’impulso del momento. Queste tentazioni sono sempre in agguato. È importante non soccombere ad esse, perché, in realtà, conducono a qualcosa di evanescente, come un’esistenza senza orizzonti, una libertà senza Dio. Noi, in cambio, sappiamo bene che siamo stati creati liberi, a immagine di Dio, precisamente perché siamo protagonisti della ricerca della verità e del bene, responsabili delle nostre azioni, e non meri esecutori ciechi, collaboratori creativi nel compito di coltivare e abbellire l’opera della creazione. Dio desidera un interlocutore responsabile, qualcuno che possa dialogare con Lui e amarlo. Per mezzo di Cristo lo possiamo conseguire veramente e, radicati in Lui, diamo ali alla nostra libertà. Non è forse questo il grande motivo della nostra gioia? Non è forse questo un terreno solido per edificare la civiltà dell’amore e della vita, capace di umanizzare ogni uomo?”
E poi rivolgendosi alla Spagna, nella cerimonia di congedo nell’ultima giornata della GMG, ha incoraggiato il suo popolo a continuare a lottare perché sia “una grande Nazione che, in una convivenza sanamente aperta, pluralistica e rispettosa, sa e può progredire senza rinunciare alla sua anima profondamente religiosa e cattolica” e nello stesso tempo ha desiderato ricordare la sua vicinanza paterna con queste intense parole: “… desidero assicurare gli spagnoli che li ho molto presenti nella mia preghiera e prego specialmente per gli sposi e per le famiglie che affrontano difficoltà di diversa natura, per i bisognosi e gli infermi, per gli anziani e i bambini, e anche per coloro che non trovano lavoro. Prego anche per i giovani di Spagna. Sono convinto che, animati dalla fede in Cristo, offriranno il meglio di se stessi perché questo grande Paese affronti le sfide del momento presente e continui ad avanzare nel cammino della concordia, della solidarietà, della giustizia e della libertà. Con questi pensieri affido tutti i figli di questa nobile Terra all’intercessione della Vergine Maria, nostra Madre del Cielo, e li benedico con affetto. Che la gioia del Signore ricolmi sempre i vostri cuori. Grazie”.
Come non sentirci abbracciati e confortati dalle parole del Santo Padre, che anche di fronte ad un potere politico ostile alla fede cattolica che ha formato il suo popolo non condanna, non fa polemiche, ma invita on forza a costruire la civiltà dell’amore, che deve necessariamente partire dal rispetto e dalla dignità per la vita di ciascun uomo, anche quella che al mondo sembra la più inutile.
Dietro al nostro amato Papa preghiamo e ci spendiamo perché si affermi sempre e dovunque la Verità, la Giustizia e la Libertà.