Il mondo non rimane in silenzio sulla storia di Sakineh
Nel giorno in cui la Chiesa festeggia la natività della Vergine Maria è giunta la tanto attesa notizia che la sentenza di lapidazione per Sakineh Mohammadi Ashtiani è stata sospesa.
La donna quarantatreenne, condannata dalle autorità iraniane per adulterio e per complicità nell’omicidio del marito almeno per il momento non sarà uccisa. Lo ha reso noto, in un’intervista alla tv locale, il portavoce del ministero degli Esteri di Teheran, Ramin Mehmanparast: “Il verdetto riguardo la vicenda di tradimento extraconiugale è stato bloccato ed è stato sottoposto a revisione”.
Sakineh Mohammadi Ashtiani, madre di due figli, era stata condannata nel maggio 2006 per “relazione illegale” con due uomini dopo la morte del marito e aveva immediatamente ricevuto una prima condanna di 99 frustrate. La donna è stata poi accusata di coinvolgimento nell’omicidio del marito per mano di uno dei suoi presunti amanti e, dopo essere stata inizialmente assolta, ha in seguito ricevuto una condanna a dieci anni di prigione con successiva condanna a morte mediante lapidazione. La Corte Suprema iraniana confermava la condanna a morte nel maggio 2007.
La decisione di sospendere la sentenza nei confronti di Sakineh è la vittoria della mobilitazione mondiale a difesa dei diritti umani e civili, che però ha fomentato una estrema critica da parte del governo iraniano, che tramite il suo portavoce ha fatto sapere che: “La difesa di una persona dall’accusa di omicidio non dovrebbe essere trasformata in una questione di diritti umani”. In particolare il Comitato diritti umani del parlamento iraniano ha censurato il nostro Paese e la Francia per la difesa di Sakineh. “Le posizioni adottate da Italia e Francia su questo caso – afferma Zohreh Elahian, membro del Comitato, secondo l’agenzia di stampa Irna -, sono un chiaro esempio della loro interferenza nel sistema giudiziario iraniano e nei nostri affari interni. Questi approcci – prosegue il politico – sono illegali e di mera propaganda contro la Repubblica islamica”.
Quando è arrivata la notizia della sospensione della pena il parlamento di Strasburgo aveva da poco approvato, all’unanimità, una risoluzione per chiedere la revisione della condanna a morte di Sakineh. Gli eurodeputati hanno chiesto alle autorità di Teheran di garantire alla donna un processo giusto. Molti parlamentari sono arrivati in aula indossando magliette con l’immagine della donna. Nel testo esprimono “costernazione” perchè l’Iran continua a essere uno dei pochi Paesi al mondo che mantiene la lapidazione e invita il parlamento di Teheran a vietare la pratica.
Purtroppo il caso di Sakineh non è isolato. Attualmente in Iran risultano pendenti, secondo un elenco pubblicato dal Comitato internazionale contro la lapidazione, ben venti sentenze di morte per lapidazione, tre delle quali riguardano uomini. Le “altre Sakineh” portano i nomi di Maryam, Zeynab, Robabe, Ferdoas, Ashraf, Hajar, Sarimeh, Khanom, Masumeh e altri ancora.
Addirittura nella prigione delle “adultere” di Tabriz, altre tre donne dopo Sakineh sono prossime all’esecuzione (Avvenire ).
Questa storia, che ci sembra così lontana da noi, non può chiaramente lasciarci indifferenti perché riguarda una grave lesione dei diritti umani, che purtroppo interessa ancora tante parti del mondo e si fonda non solo sulla discriminazione etnica, ma anche su quella religiosa e culturale.
La figura della donna negli anni ha spesso subito un trattamento diverso, per non dire peggiore, rispetto all’uomo, sia nei diritti politici, che sociali ed umani, fino a dover sopportare, specie nei paesi islamici, vere e proprie abnegazioni di se stesse, quasi fosse una colpa essere nate di sesso femminile.
Non a caso il Santo Padre proprio al termine dell’Udienza generale di mercoledì 8 settembre, incontrando i membri dell’Ufficio dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa in occasione del 60° anniversario della Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo, ha chiesto con forza di promuovere e difendere la dignità inviolabile di ogni uomo, specie quello più debole, come “le persone affette da handicap, i bambini che subiscono violenza, gli immigranti, i profughi, coloro che pagano il prezzo più alto per l’attuale crisi economica e finanziaria, quanti sono vittime dell’estremismo o delle nuove forme di schiavitù come il traffico di vite umane, il commercio illegale di stupefacenti e la prostituzione”.
Benedetto XVI ha nel cuore proprio quei popoli che vivono in democrazie fragili, costretti a subire un potere indiscutibile e regole disumane, e chiede per loro che si sviluppi sia la validità universale di tutti i diritti, sia la loro inviolabilità, inalienabilità e indivisibilità. “Questi valori, diritti e doveri sono radicati nella dignità naturale di ogni persona, qualcosa che è accessibile alla ragione umana”, ha osservato il Santo Padre, sottolineando che la fede cristiana “non ostacola, bensì favorisce questa ricerca, ed è un invito a cercare una base soprannaturale per questa dignità”.
Ci uniamo all’accorata preghiera del Papa, riconoscendo che ogni vita umana ha la sua dignità, anche quella di una donna adultera e forse coinvolta in un omicidio che merita di essere ascoltata su ciò che ha fatto o non ha fatto, di essere giudicata con equità e buon senso, oltre che con un codice penale alla mano, e di sperimentare la misericordia se il suo cuore è aperto alla richiesta di perdono.