I cristiani nel mondo tra violenza e speranza
“Ogni cinque minuti un cristiano muore ucciso per la sua fede”. È la notizia agghiacciante diffusa dal sociologo Massimo Introvigne nel suo intervento alla Conferenza internazionale sul dialogo interreligioso fra cristiani, ebrei e musulmani, in svolgimento a Gödollö (Budapest) promossa dalla Presidenza ungherese dell’Unione Europea.
Le ultime notizie dall’Oriente continuano infatti a parlarci di una situazione di continuo attacco e violenze contro i cristiani.
In Nepal, da alcuni anni, molti estremisti indù legati al Nepal Defence Army (Nda) organizzano attentati ai danni dei cristiani, come l’uccisione, nel 2007, di padre John Prakash, di origine indiana, rettore della scuola salesiana di Sirsya (Morang) – “primo martire della Chiesa nepalese” – nel villaggio di Bandel. Poco dopo, il 23 maggio 2009, l’attentato alla cattedrale dell’Assunzione di Kathmandu, ove persero la vita tre cristiani e tredici rimasero feriti. Ma nel Paese è possibile parlare di una vera e propria situazione di violenza generalizzata.
Il Rapporto di “Amnesty International” denuncia che in Nepal si verificano centinaia di uccisioni e rapimenti da parte delle forze statali e dei gruppi armati e la polizia è ricorsa a un uso non necessario ed eccessivo della forza per disperdere manifestazioni politiche e di rivendicazione dei diritti, impiegando un’aggressività ingiustificata contro chi manifestava pacificamente. Sono stati inoltre riferiti casi di tortura e maltrattamenti ai danni dei detenuti. Molto grave e ancora irrisolta la situazione dei 2.500 ex bambini-soldato, che furono impiegati nel sanguinoso conflitto interno terminato formalmente nel 2006.
Questo clima di soprusi non ha però fermato la crescita dei cattolici. Secondo mons. Anthony Sharma, gesuita e Vescovo del Nepal, ogni anno circa 300 persone si convertono al cattolicesimo: la comunità cristiana del Nepal conterebbe, in base ad alcune stime, due milioni di fedeli, ma l’unica cifra sicura è il numero di cattolici, circa 8.000, secondo i registri parrocchiali.
Drammatica continua ad essere anche la situazione nel Punjab. L’ultima notizia è trapelata solo qualche giorno fa grazie ad Asianews. La giovane infermiera Farah Hatim, 24 anni, originaria del sud del Paese, è stata rapita lo scorso 8 maggio, attorno alle 7 del mattino, mentre per si recava a lavoro. L’autore del sequestro è Zeehan Iliyas, un giovane musulmano impiegato come fattorino presso la filiale locale della United Bank Limited. Con l’aiuto di due fratelli – Imram e Gulfam – il ragazzo ha prelevato la giovane, intimandole di convertirsi all’islam e sposarlo. Bilquees Marriam, madre della ragazza cristiana, riferisce che “questa famiglia [musulmana] è solita rapire ragazze cristiane e convertirle con la forza” e agiscono nell’impunità grazie anche al “sostegno di un parlamentare della zona, esponente del partito di governo”. La donna, insieme ai sei figli, ha denunciato il sequestro alla polizia, ma gli agenti non hanno voluto aprire un fascicolo di inchiesta. Il 10 maggio la famiglia ha presentato una seconda denuncia, ma a tutt’oggi la polizia non ha perseguito alcun colpevole.
Intanto dall’India è giunta la notizia che a seguito delle brutali violenze contro i cristiani di Kandhamal (Orissa) da parte di radicali indù, tra l’agosto e l’ottobre del 2008, pochissime sono le condanne per omicidio. Da un’indagine che emerge dal First Information Reports, un documento redatto dalla polizia indiana, delle 3.232 denunce penali presentate, solo 828 sono state convertite in deposizioni vere e proprie. Di queste 327 casi sono arrivati davanti a un giudice, che in 169 casi ha assolto in pieno gli imputati, in 86 ha emesso le condanne, ma solo per le imputazioni minori. Altri 90 casi attendono ancora l’esame in tribunale. Secondo dati ufficiali, 1.597 indagati sarebbero stati prosciolti. Il numero, comunque elevato, non include le migliaia di persone che non potevano essere arrestate e dunque non portate in giudizio.
In Egitto sono stati almeno 9 morti e 116 i feriti a seguito di un violento assalto di un gruppo di musulmani contro i cristiani a Imbaba, nella periferia nord-est della capitale egiziana. Secondo testimoni, circa 500 islamisti salafisti si sono radunati l’8 maggio davanti alla chiesa copta di san Mina esigendo la consegna di una donna che secondo loro si era convertita all’islam e che i cristiani tenevano prigioniera. Dopo aspre discussioni fra le guardie della chiesa e il gruppo, si è passato allo scontro con colpi di arma da fuoco, bottiglie incendiarie e pietre.
Anche in Cina continuano ad essere migliaia i cristiani perseguitati, ma è proprio da questo paese che giunge una notizia sorprendente: nonostante le torture, aumenta il numero di cattolici e protestanti. Si stima infatti che i credenti siano ormai 200 milioni e il governo non riesce a fermarli!
Il professor Li Tianming, del dipartimento di teorie religiose dell’università di Renmin, afferma dalle pagine de Il Giornale del 14 maggio, che secondo le sue ricerche “Ogni giorno sono dieci mila i cinesi che si convertono al cristianesimo”. “Oggi le religioni si stanno prendendo le loro rivincite”, spiega il professor Tianming, “La Cina è una terra d’evangelizzazione. Mai come oggi si sente tra la gente il bisogno di esprimere la fede. Si stima che ormai siano 200 milioni i credenti. A questo ritmo la Repubblica Popolare cinese diventerà il più grande Paese credente del mondo. Le persone vengono in chiesa perché si sentono felici, hanno bisogno di meditare”.
Un dato che al governo fa sicuramente paura perche è il chiaro segno che, nonostante i divieti, le torture, i campi di lavoro per “ripulire la mente”, in Cina, come in altri paesi del mondo dove i cristiani vengono perseguitati, la fede in Cristo è più forte e non può essere combattuta, la speranza è più forte della paura: “Non abbiate paura di andare controcorrente per incontrare Gesù, di puntare verso l’alto per incrociare il suo sguardo” (Benedetto XVI, Basilica di San Marco a Venezia, domenica, 8 maggio).