Hrant Dink: alla ricerca della verità e della libertà
Il giorno 19 gennaio c.a. il giornalista turco, di origine armena, Hrant Dink è stato assassinato con quattro colpi di pistola appena uscito dal suo ufficio di redazione. Direttore del giornale bilingue turco-armeno Agos, nel 2004 aveva scritto un articolo sul genocidio degli armeni che gli è costato un processo che, avvenuto nel 2005, lo aveva condannato a 6 mesi di detenzione con la condizionale.
Questo perché in Turchia esiste il noto e contestato articolo 301 del Codice penale, che sanziona chi rivolge critiche alla nazione turca e che già in precedenza aveva consentito di mettere sotto processo per lo stesso motivo il premio Nobel Orhan Pamuk (Nobel per la letteratura del 2006)
Hrant Dink era un uomo che parlava sempre apertamente, alla ricerca della verità, della libertà e della democrazia (così lo ha definito il suo amico e collega Aydin Engin anch’egli condannato con lui secondo lo stesso articolo 301 del Codice penale turco); aveva rifiutato fino all’ultimo la possibilità di una scorta della polizia, viste le ormai numerosissime e recenti minacce alla sua vita, affermando di non aver paura e di essere pronto a tutto!
Dopo qualche giorno è arrivata la confessione del suo giovane assassino: “ho fatto la preghiera del venerdì e poi ho colpito”. Insomma un’altra uccisione in nome di Dio.
Moltissime sono state subito dopo l’omicidio le manifestazioni spontanee in varie piazze di alcune delle città più importanti della Turchia dove in silenzio ha sfilato una folla per lo più di giovani con in mano cartelloni con su scritto “Hrant non è morto, la sua libertà non morirà”, oppure “siamo tutti Hrant Dink, siamo tutti armeni, alla ricerca della verità e della libertà”!
Dunque non si fa fatica a capire che oltre ad essere stato un atto di violenza contro un uomo “scomodo”, questo delitto sia anche politico, con l’intento di colpire la società turca nel cammino difficile che sta vivendo, particolarmente per colpire quella parte di società che cerca e tende alla pacifica democrazia e alla libertà di pensiero.
Esiste infatti da tempo un dialogo tra la Turchia e l’Europa, nell’ipotesi che la Turchia stessa possa entrare a far parte della UE.
In realtà era stata data alla Turchia, dall’Europa, la scadenza del 15 dicembre perché si adeguasse alle richieste comunitarie in materia di apertura al commercio con Cipro, di libertà di espressione e di religione, di diritti delle donne e dei sindacati. Ma queste scadenze non sono state rispettate.
In conseguenza ad un Rapporto steso dal Commissario all’allargamento della UE, le richieste alla Turchia si sono concentrate su due aspetti: quello economico-diplomatico, con la questione cipriota, ossia la richiesta di adeguamento alle norme comunitarie in materia di apertura al commercio con Cipro; e quello dell’adeguamento della legislazione turca allo standard europeo in materia di libertà e diritti umani con la richiesta di cancellazione dell’articolo 301.
Insomma secondo quanto espresso da questo Rapporto, in Turchia ci sarebbe libertà di culto, ma la libertà di religione per le minoranze deve essere molto rafforzata. Maggiore tutela viene anche chiesta per i diritti delle donne e dei sindacati. E si chiede anche maggiore attenzione per i diritti umani e sociali, oltre che per i problemi economici dei curdi.
Ma qual è l’opinione del popolo in merito all’ingresso in UE e al necessario adeguamento perché questo possa avvenire?
Nei confronti dell’Europa, secondo Ugur Yorulmaz, capofila del movimento turco degli obiettori di coscienza, ci sono quattro diversi gruppi di opinione pubblica.
Il primo è quello dei “resistenti”: radicalmente nazionalisti che fanno obiezione a qualsiasi cosa venga chiesta dall’Europa, accusata di voler dividere il Paese.
Ci sono poi i “nazionalisti soft” che vogliono entrare nella UE, ma senza fare cambiamenti. Vogliono avere il modo di vita dei cittadini europei, ma hanno paura di perdere le loro tradizioni. A volte vengono influenzati dalle idee del primo gruppo.
I “variabili”, che compongono il terzo gruppo, non hanno alcuna idea sulla UE: alcuni cambiano idea ad ogni passo del rapporto con l’Europa. Pian piano stanno ponendosi sul piano negativo.
A questo ed al secondo gruppo appartiene la grande maggioranza dei turchi.
L’ultimo gruppo è quello dei “sostenitori dell’Europa” ed è anch’esso complesso. Ci sono quelli che vogliono l’Europa e sostengono le riforme. Altri non vogliono l’Europa, ma pensano che questo sia il miglior modo per avere le riforme. I socialdemocratici, alcuni democratici benpensanti, molti uomini d’affari (quelli importanti) e la maggioranza dei curdi, in genere vogliono unirsi all’Europa e fare le riforme.
Un quadro già di per sé assai complesso in cui l’unità di questo popolo sembra essere qualcosa di veramente lontano e incerto.
Certo è invece che un uomo, Hrant Dink, proprio dentro queste complesse contraddizioni, ha sacrificato la sua vita, in nome della ricerca della verità e l’affermazione della libertà.