Fino all’ultima goccia di sangue per Amore!
Dieci spietati ragazzini in jeans e maglietta che volevano passare alla storia per essere gli autori dell’11 settembre indiano: questi gli autori del sanguinoso attentato che ha sconvolto Mumbai, capitale economica dell’India, ed ha tenuto il mondo con il fiato sospeso per sessanta lunghe ore.
Mercoledì 26 novembre dieci attentatori sono giunti in città con un carico di esplosivo sufficiente a ridurre in un cumulo di macerie i due hotel di lusso presi di mira: il Taj Mahal ed il complesso alberghiero OberoiTrident.
I terroristi, nove dei quali sono rimasti uccisi negli scontri a fuoco, facevano parte gruppo “Mujaheddin del Deccan” (dal nome di un altopiano nel Sud dell’India), accostato ad Al Qaeda.
L’unico sopravvissuto, il ventenne Azam Amir Kasav, ha confessato che l’azione era stata preparata da lungo tempo ed il compenso promesso per ognuno degli attentatori era di 150mila rupie pachistane (1.900 dollari): tanto sembra valere la vita delle 195 vittime, tra cui ventidue stranieri, e degli almeno 300 feriti.
L’assalto è stato improvviso: bombe, granate e centinaia di proiettili sono piovuti sulla testa delle vittime. Breve è stato il tempo per rendersi conto che ci si trovava nel mirino di un attentato terroristico e allora ci si è protetti come si poteva, bloccando le porte delle stanze con il mobilio, nascondendosi nel seminterrato, negli armadi o tentando di fuggire attraverso le scale di emergenza. Non sono mancati piccoli atti di eroismo, come quello di un padre che incurante del pericolo è rientrato nell’hotel per portare il latte alla propria bambina di sei mesi che rischiava di morire di fame.
Questa terribile vicenda ha inflitto un’ulteriore ferita al mondo intero ed in particolare ad un Paese già particolarmente provato dalla brutale violenza verso i cristiani e le minoranze in genere.
Ancora una volta è inevitabile chiedersi il perché per alcuni la vita non ha valore, il perché si decide consapevolmente di togliere la vita all’altro anche in nome Dio, il perché di tutto questo odio che sembra quasi dilagare al punto tale da non lasciare intravedere spiragli di luce.
Eppure la luce c’è e si vede a partire dal sostegno vicendevole emerso dalle drammatiche testimonianze delle vittime, che hanno cercato in ogni modo di aiutarsi, superando le barriere di lingua, razza e cultura da cui troppo spesso ci si lascia determinare.
Ma ancor più splende l’esempio di uomini e donne che, a partire da Madre Teresa, proprio in questa terra hanno dato la propria vita fino all’ultima goccia di sangue per Amore, per Amore a Gesù, che come Lui stesso ci ha insegnato, si manifesta nel volto del prossimo.
“Se uno dicesse: «Io amo Dio», e odiasse il suo fratello, è un bugiardo… Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vedo. Questo è il comandamento che abbiamo da Lui: chi ama Dio, ami anche il suo fratello” (1 Gv 20-21).
Ci uniamo allora al profondo cordoglio che Benedetto XVI ha espresso in un telegramma a firma del cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, indirizzato al cardinale arcivescovo di Bombay, Oswald Gracias. Insieme al Santo Padre chiediamo che si “ponga fine a tutti gli atti di terrorismo, che offendono gravemente la famiglia umana e destabilizzano fortemente la pace e la solidarietà necessarie a costruire una civiltà degna della nobile vocazione dell’uomo ad amare Dio e il prossimo” e preghiamo per le vittime e i loro famigliari implorando Dio di confortare i feriti e quanti piangono i propri cari.