Allarme demografico in Italia
Nella prolusione alla 61a Assemblea Generale della CEI (Roma, 24-28 maggio 2010), S. Em.za Cardinal Angelo Bagnasco ha ribadito come la famiglia fondata sul sacramento del matrimonio tra un uomo e una donna sia “crogiuolo di energia morale, determinante nel dare prospettive di vita al nostro presente”. “Eppure – ha continuato – l’Italia sta andando verso un lento suicidio demografico: oltre il cinquanta per cento delle famiglie oggi è senza figli, e tra quelle che ne hanno quasi la metà ne contemplano uno solo, il resto due, e solamente il 5,1 delle famiglie ha tre o più di tre figli”.
In effetti è proprio così: in poco meno di un quarto di secolo in Italia si è passati da più di 2.7 a meno di 1.2 figli per donna. E nella statistica redatta dalla CIA World Factbook sui i tassi di natalità nel mondo agli inizi del 2009, l’Italia risulta al 219° posto, con 8.18 nascite su un campione di popolazione di 1000 persone.
In realtà la progressiva diminuzione dei tassi di natalità si è riscontrata in molti altri Paesi oltre che in Italia a partire dagli anni ‘70. Sono tanti i fattori a cui, nel tempo, si è cercato di attribuire tale fenomeno: l’inflazione conseguente alla crisi del petrolio del ’73, un non chiaramente specificato cambiamento di “valori”, sostanziali modifiche della società, con uno stravolgimento all’interno degli assetti sociali e, primi tra tutti, familiari, l’introduzione della pillola contraccettiva, l’emancipazione lavorativa della donna fino alla crescente riluttanza all’impegno di fondare una famiglia… Da sottolineare anche l’aumento dell’età media in cui si concepiscono figli (legata alla sempre più alta età di inserimento nell’ambito lavorativo), l’aumento del tasso di infertilità e la precarietà lavorativa.
A fronte di un tale quadro, il Card. Bagnasco, esorta a tempestive modifiche politiche e sociali. “Urge una politica che sia orientata ai figli, che voglia da subito farsi carico di un equilibrato ricambio generazionale. Ci permettiamo di insistere con i responsabili della cosa pubblica affinché pongano in essere iniziative urgenti e incisive: questo è paradossalmente il momento per farlo. Proprio perché perdura una condizione di pesante difficoltà economica, bisogna tentare di uscirne attraverso parametri sociali nuovi e coerenti con le analisi fatte. Il quoziente familiare è l’innovazione che si attende e che può liberare l’avvenire della nostra società. Da parte nostra ci impegniamo affinché nella pastorale familiare, e in quella volta alla preparazione al matrimonio, si operi per radicare ancor più la coscienza dei figli come doni che moltiplicano il credito verso la vita e il suo domani”.
Sebbene sostegno all’infanzia, benefici fiscali per le famiglie numerose e adeguato congedo parentale possano essere una ipotesi di miglioramento verso una nuova crescita del tasso di natalità, non possiamo non riflettere su quanto tra le righe (ma non troppo) emerge dai dati sopra citati.
Perché non si fanno più figli? Come rispondere seccamente a questa domanda?
È facile, seppur drammatico: non si fanno figli perché non c’è speranza. Non si fanno figli perché vince la paura, anche quella di farli crescere in un mondo in cui sembra predominare e vincere il male, il terrore. Non si fanno figli perché non c’è gioia di vivere… Cosa trasmettere loro?
E chi ce la dà questa speranza? Sebbene sia un dato suffragato dalle statistiche, può bastare la sola sicurezza economica a donarci quella fiducia nel futuro indispensabile per aprirsi alla vita?
Cosa risponderebbe chi, in pochi istanti, ha perso casa, famiglia e lavoro tra le macerie di un terremoto?
In una lettera sul compito urgente dell’educazione indirizzata alla diocesi e alla città di Roma (21 gennaio 2008), il Santo Padre Benedetto XVI così insegnava: “Anima dell’educazione, come dell’intera vita, può essere solo una speranza affidabile”.
Ma che speranza è questa dalla quale, per poter educare, dobbiamo innanzitutto lasciarci investire?
Al punto 2 dell’enciclica Spe Salvi il Papa descrive come elemento distintivo dei Cristiani proprio l’avere un futuro: “non è che sappiano nei particolari ciò che li attende, ma sanno nell’insieme che la loro vita non finisce nel vuoto. Solo quando il futuro è certo come realtà positiva, diventa vivibile anche il presente”.
Ciascun uomo coltiva nella vita delle piccole speranze (il lavoro, la famiglia…) e fatica duramente nel tentativo di realizzarle. Ma chi garantisce che i nostri sforzi vadano a buon fine?
Recita bene il salmo 126:
Se il Signore non costruisce la casa, *
invano vi faticano i costruttori.
Se la città non è custodita dal Signore *
invano veglia il custode.
Invano vi alzate di buon mattino, †
tardi andate a riposare
e mangiate pane di sudore: *
il Signore ne darà ai suoi amici nel sonno.
Ecco, dono del Signore sono i figli, *
è sua grazia il frutto del grembo.
Come frecce in mano a un eroe *
sono i figli della giovinezza.
Beato l’uomo *
che piena ne ha la faretra:
non resterà confuso quando verrà alla porta *
a trattare con i propri nemici.
Sembra che oggi si sia drammaticamente sperimentando la verità di queste parole: senza Dio tutto è vano, senza orizzonte. E lo diventa anche fare figli. Figli che, ce lo insegna il salmo stesso, sono innanzitutto un dono frutto di quella stessa Grazia che dona senso, consistenza e orizzonte a tutta la nostra vita. Un dono innanzitutto da accogliere come beatitudine e ricchezza consegnate alla vita del genitore e poi anche una responsabilità: sì perché mai dimenticare che se un figlio non è senz’altro un intralcio o un ulteriore problema da risolvere, non è tantomeno un proprio possesso, né uno specchio in cui riflettere la propria immagine, così come ben descritto dal poeta Gibran.
I vostri figli non sono figli vostri.
Sono i figli e le figlie della brama che la Vita ha di se stessa.
Essi vengono attraverso voi ma non da voi,
e sebbene siano con voi non vi appartengono.
Potete donare loro il vostro amore ma non i vostri pensieri.
Perché hanno pensieri loro propri.
Potete dare rifugio ai loro corpi ma non alle loro anime,
Giacché le loro anime albergano nella casa di domani,
che voi non potete visitare neppure in sogno.
Potete tentare d’essere come loro, ma non di renderli come voi siete.
Giacché la vita non indietreggia né s’attarda sul passato.
Voi siete gli archi dai quali i figli vostri, viventi frecce, sono scoccati innanzi.
L’Arciere vede il bersaglio sul sentiero dell’infinito,
e vi tende con la sua potenza affinché le sue frecce possano andare veloci e lontano.
Sia gioioso il vostro tendervi nella mano dell’Arciere;
Poiché se ama il dardo sfrecciante, così ama l’arco che saldo rimane.
Nelle mani di Dio, che come un arciere scocca, chiama alla vita nuove creature, dardi sfreccianti verso un destino buono, segnato dall’Amore, il genitore è chiamato innanzitutto a lasciarsi fare, come un arco a lasciarsi tendere rimanendo saldo, certo dell’Amore del Creatore: “poiché se ama il dardo sfrecciante, così ama l’arco che saldo rimane”.
E a questo Amore certo, che assume tutta la carnalità di un incontro, di un’amicizia, della Chiesa, possiamo abbandonarci e consegnare tutte le paure, i dubbi e i desideri del nostro cuore. Continua il Papa nella Spe Salvi, al punto 31: “noi abbiamo bisogno delle speranze – più piccole o più grandi – che, giorno per giorno, ci mantengono in cammino. Ma senza la grande speranza, che deve superare tutto il resto, esse non bastano. Questa grande speranza può essere solo Dio, che abbraccia l’universo e che può proporci e donarci ciò che, da soli, non possiamo raggiungere. Proprio l’essere gratificato di un dono fa parte della speranza. Dio è il fondamento della speranza – non un qualsiasi dio, ma quel Dio che possiede un volto umano e che ci ha amati sino alla fine: ogni singolo e l’umanità nel suo insieme. Il suo regno non è un aldilà immaginario, posto in un futuro che non arriva mai; il suo regno è presente là dove Egli è amato e dove il suo amore ci raggiunge. Solo il suo amore ci dà la possibilità di perseverare con ogni sobrietà giorno per giorno, senza perdere lo slancio della speranza, in un mondo che, per sua natura, è imperfetto. E il suo amore, allo stesso tempo, è per noi la garanzia che esiste ciò che solo vagamente intuiamo e, tuttavia, nell’intimo aspettiamo: la vita che è «veramente» vita”.
Un Amore che investe la vita di pienezza, compiutezza e gioia… e la rende inevitabilmente feconda. Una fecondità libera, matura, intelligente e responsabile. Una fecondità piena e dalle mille sfaccettature, aperta ad accogliere la benedizione dei figli che Dio ci vorrà concedere.