A Dio dirò: grazie
Ci è sembrato che i vari tg di quel giorno, il 20 luglio scorso, pur non tacitando la notizia e l’augurio al Card. Ersilio Tonini in occasione del suo 95° compleanno, abbiano in qualche modo non espresso pienamente il suo cuore in occasione di questa gradita memoria. Succede spesso, purtroppo, che interviste di un certo livello di profondità e di una certa lunghezza vengano poi, per motivi più o meno “tecnici”, accorciate col rischio di estrapolare tratti e frammenti che non esprimono adeguatamente il contenuto che l’intervistato ha comunicato. È per questo che pubblichiamo di seguito l’intervista al cardinale Tonini fatta da Marina Corradi e apparsa su Avvenire che, in maniera sicuramente più efficace di quanto abbiamo potuto apprendere dalla televisione, fa emergere il ritratto di un uomo che esprime una piena gratitudine per quanto vissuto e la certezza di una prospettiva “sterminata” e di una “felicità ineguagliabile”.
Ersilio Tonini compie 95 anni
«A Dio dirò: grazie»
di Marina Corradi
Domani, sono novantacinque. Lui, magro e all’apparenza fragile come sempre, dice candidamente: «Io non me ne accorgo, di averne tanti. Sono sereno, sto bene. Alla mattina leggo come sempre i giornali, quelli italiani, la Bild Zeitung e Le Monde. Sono grato a Dio di questi anni, e di tutte le persone che ho incontrato.
Domattina, a Dio dirò grazie. Come d’altronde faccio da quando ero bambino, ogni giorno. ‘Grazie’, che è la parola più semplice, e fondamentale. Perché nel dirla, sta il riconoscere di avere ricevuto un dono, di cui si è grati; e chi è grato è portato, a sua volta, a donare».
Un uomo grato. Non c’è altro modo per riassumere questi 95 anni – è nato il 20 luglio 1914 – del cardinale Ersilio Tonini . Lo stai a ascoltare, e ti commuove nelle sue parole la mancanza assoluta di ogni amarezza, o recriminazione. Grato, di tutto.
Come se tutto, e ogni prova o dolore, fosse stata per un bene.
L’alba di questi 95, quasi un secolo, è stata a Centovera, provincia di Piacenza. Ersilio, terzo figlio dei cinque di Celestina e Cesare Tonini , capobifolco di una grande cascina di 300 ettari. Grato, innanzitutto, di quella infanzia e di quei genitori. Il padre, benvoluto e stimato, di cui andava orgoglioso; la madre che insegnava ai figli, insieme alle preghiere, «lo stupore di fronte alla realtà, uno stupore che si rinnovava ogni mattina». Grato dei maestri: e prima di tutti di quello che alla fine della quinta elementare lo licenziò, scrivendo sulla pagella: «Farà sempre bene». Non un voto, ma quasi una benedizione: che ottantacinque anni dopo l’ex scolaro ricorda ancora.
Grato, e di questi tempi può suonare strano, «anche allo Stato – dice il cardinale –. Oggi pensiamo allo Stato come un’entità burocratica e cieca. Per me invece lo Stato era la comunità civile che permetteva, a me figlio di contadini, di andare a scuola e imparare. Che si attendeva, da me, che lavorassi per il bene comune».
Di imparare, quel bambinetto magro non era mai stanco. È la madre che intuisce i talenti del figlio. È sempre lei che ne incoraggia la vocazione.
«Leggevo delle riviste missionarie. Una mia zia si spaventò: non vorrai mica diventare missionario e andartene lontano?, mi sgridò. Mia madre invece, saputo dell’episodio, mi chiamò e mi disse: ‘Ricordati che qualunque cosa Dio voglia da te, noi ne siamo contenti’».
In seminario a 11 anni. Avido di latino, di greco, di filosofia. Sacerdote il 18 aprile 1937, a neanche 23 anni. (E tu, ascolti e pensi sbalordito a quella data: lontanissima, ben prima della seconda guerra mondiale). Dunque, Eminenza, sono 72 anni di sacerdozio… «Sono stato a lungo insegnante in seminario. Poi, parroco, per quindici anni, a Salsomaggiore. Anni bellissimi. Amavo stare in mezzo alla gente.
Passavo tre o quattro ore al giorno in confessionale…» E tu, fai i conti: quattro ore al giorno per quindici anni fanno oltre ventimila ore ad ascoltare peccati. Quale idea avrà degli uomini, uno che ne ha tanto ascoltate le colpe? Tonini : «Io ho una profonda stima dell’uomo. I peccati, non mi hanno mai scandalizzato. Su tutto, prevale in me la meraviglia per la coscienza donata a ciascuno di noi. Quella coscienza che è il luogo della nostra libertà, e della possibilità di scegliere, alla fine, il bene».
Lucidissimo. Pochi sono lucidi così, a trent’anni, nel giudizio sulla vita. E allora ti viene da chiedere a quest’uomo col petto gravato dalla gran croce cardinalizia, in che cosa è diverso oggi, da quando era giovane.
Insomma, che cosa dà, a cosa serve, la vecchiaia. «Sempre premettendo – sorride Tonini – che io non m’accorgo d’essere tanto vecchio, posso dire che questo mio tempo è il momento in cui più mi rendo conto della mia storia, e di quanto ho ricevuto. È il tempo in cui mi sembra di conoscere di più, di saper valutare, di essere più libero. È come se oggi, interiormente, avessi un saggio, che mi guida. È bello: la vecchiaia è un premio, in questa libertà.
Come dicevano gli antichi greci, è un diventare ciò che siamo».
Dunque non bisogna avere, della vecchiaia, quella paura che abbiamo in tanti, pensandola come decadenza e impotenza? «No, non bisogna avere paura. Certo, io parlo come uno che arriva a 95 anni sano e padrone di sé. C’è chi, assai prima, sprofonda nella malattia o nella demenza.
Quella, è una prova. È prova per chi sperimenta l’impotenza, e per chi gli sta vicino: perché impari, anche in quella povertà, a vedere il valore dell’uomo. La malattia, la demenza, certamente sono prova. Ma prova, per un bene».
Eminenza, sul portale di una chiesa umbra ricordo di avere letto: «Il tempo che passa è Dio che viene». È vero, secondo lei? «È assolutamente vero. Il tempo ci è dato perché, nel fondo della nostra libertà, scegliamo il bene. E dunque, non c’è da avere paura degli anni che passano».
Ti sembra, con quest’uomo, di avere davanti un testimone di un altro sguardo, di un altro giudizio sulla vita, rispetto a ciò che ci circonda e governa oggi. Che sia per via di quella cascina, di quella terra, di quella madre che insegnava a dire grazie ogni mattina? Dei cinque figli, Ersilio è l’unico che vive ancora. E che ricorda, netto, l’insegnamento ricevuto a Centovera. «Mio padre mi diceva sempre: ‘Quello che conta nella vita è volersi bene, un pezzo di pane, e la coscienza netta’. Ecco, oggi mi pare che si sia un po’ dimenticata l’importanza di questo terzo elemento: la coscienza, il rispondere a se stessi, e a Dio.
Però io sono ottimista. Ho insegnato per vent’anni ai ginnasiali, ho confessato tanto.
Conosco gli uomini. E so che, dentro, hanno una possibilità straordinaria di bene».
Ma c’è un qualche segreto, per arrivare a 95 anni così – lucidi, lieti, ottimisti? «No – risponde Tonini – nessun segreto. Questi 95 anni sono semplicemente un dono». C’è chi, e pensi alle cronache di pochi giorni fa, meno vecchio, e non gravemente malato, sceglie di uccidersi. Come quel direttore d’orchestra britannico ottantenne che, sordo e quasi cieco, s’è fatto accompagnare in una clinica svizzera, dove lui e sua moglie sono stati ‘aiutati’ a morire. «Questa – dice Tonini e la sua voce ora ha una sfumatura di dolore – è pura disperazione’.
(Disperazione. Di tutti i peccati, come ben sa un vecchio confessore, il più grave).
«Disperazione – aggiunge – chiamata con belle parole, con nomi suadenti».
A Ravenna, nella quiete torrida della Romagna in luglio, tutt’altra aria si respira nello studio di Tonini, all’Opera Santa Teresa. Per questo, osi una domanda che normalmente non si fa; nomini ciò che, tra gli uomini, è più innominabile. Ma, Eminenza, della morte, dell’aldilà, che immagine ha un cardinale di 95 anni?
«Oltre la morte, sarà bellissimo. Perché vedremo finalmente la nostra storia, tutta intera. Voglio dire: vedremo la storia di ciascuno di noi, dal suo vero principio, dall’istante in cui Dio ci ha concepito nei suoi pensieri. Perché ciascuno è stato pensato, progettato dall’inizio del tempo. È una prospettiva sterminata. È posare gli occhi sull’orizzonte infinito per cui sono stati fatti. Sarà, l’abbraccio di Cristo, una felicità ineguagliabile».
E dunque, dice il cardinale Ersilio Tonini, figlio del capobifolco Cesare, non c’è nulla da temere: «Basterebbe, ecco, essere meno distratti. Svegliarsi al mattino, e riconoscere con stupore il dono della vita ricevuto».
Come a lui ha insegnato sua madre, Celestina. E come sarà bello, un giorno, riabbracciarla.