“Ho finito, ho fatto quello che dovevo fare. Il mio bambino crescerà sano”
Alla chiusura di questo anno 2011, segnato dalla crisi economica mondiale e da sanguinose rivolte specie nel Nord Africa, giunge, quasi sottovoce, una storia di vita drammatica e straordinaria nello stesso tempo: quella di Jenni Lake, una ragazza americana di diciassette anni che ha scoperto prima di avere una massa tumorale all’interno del cranio e poi, qualche settimana dopo, di aspettare un bambino dal suo fidanzatino Nathan Wittman, poco più grande di lei.
I dottori sono stati chiari sin dall’inizio con la ragazza chiedendole proprio di scegliere se andare avanti con la gravidanza o continuare a curarsi il tumore. E lei non ha avuto un momento di incertezza ma ha optato decisamente per salvare la vita di suo figlio cessando così immediatamente ogni trattamento di radiazioni e chemioterapia.
I primi di novembre Jenni Lake ha dato alla luce il suo bimbo Chad, un mese prima del suo 18° compleanno, ed è morta dodici giorni dopo, a causa del tumore oramai più che avanzato.
È la madre di Jenni a ricordare e raccontare la lunga battaglia di sua figlia contro il cancro. Sempre la mamma racconta che, poco prima di morire, Jenni rivolgendosi all’infermiera che l’accudiva ha detto: “Ho finito, ho fatto quello che dovevo fare. Il mio bambino crescerà sano” ed ha pregato di riportare queste sue parole alla famiglia perché fossero, per loro, di conforto.
La famiglia e gli amici sono convinti che la storia di Jenni non sia una tragedia ma un atto di amore, il sacrificio di una mamma per il suo bambino e proprio per questo hanno registrato gli ultimi mesi della vita della ragazza ed inserito su YouTube un video a lei dedicato dal titolo Jenni’s Journey, il viaggio di Jenni, e prima ancora hanno creato una omonima pagina Facebook.
Di certo la giovane età di Jenni e la sua immediata e consapevole decisione di portare avanti la gravidanza ci colpiscono. Oltretutto in un momento storico in cui i ragazzi vengono spesso etichettati come quelli che non sono in grado di prendersi delle responsabilità, in cui a livello mondiale sono tantissime le energie utilizzate per mettere in atto tutti i tentativi e gli espedienti per legittimare l’aborto quale diritto irrinunciabile della donna e per renderlo sempre più un fatto privato e riservato (e ogni anno al mondo vengono interrotte volontariamente circa quaranta milioni di gravidanze).
Non sappiamo realmente quale ideale, esperienza e amicizia, a partire da quella dei suoi famigliari, ha potuto sostenere questa giovane ragazza dentro la scelta che ha compiuto. Ma sappiamo con certezza che cosa la sua vita trasmette al suo bambino, alla sua famiglia e a noi tutti che la stiamo conoscendo: la forza dell’amore, l’amore come dono di sé totale, l’esperienza dell’evidenza che un figlio in grembo c’è e vive e che proprio l’amore a lui “giustifica” il sacrificio estremo della propria vita, che l’amore a lui e la vita per lui in qualche modo segnano il compimento della propria vita di soli diciassette anni.
Sappiamo poco di questi lunghi nove mesi, di tutti i “sì” che sono stati necessari dopo quel primo “sì”. Ci rimane una foto tenerissima di Jenni, con in un braccio suo figlio, dal volto non più adolescente ma di donna e di mamma, trasfigurata non tanto dalla malattia ma soprattutto dall’amore. E rimane una presenza: quella del piccolo Chad che ha sperimentato ancor prima di nascere e che non potrà non crescere segnato dalla certezza di essere stato investito di un amore che è dell’altro mondo, un amore così gratuito e totale e che il cuore di ogni uomo sulla faccia della terra desidera per sé, un amore che lo ha voluto e amato fino al sacrificio estremo della vita.